Dal teatro al libro. Il debutto di Iacopo

Esce il primo romanzo di Gardelli, ‘L’Alsìr’. "Ho fatto un azzardo, creando una lingua meticcia. Se è un buon lavoro lo diranno i lettori"

Dal teatro al libro. Il debutto di Iacopo

Dal teatro al libro. Il debutto di Iacopo

di Roberta Bezzi

La spiaggia è metafora della vita del romanzo d’esordio del 33 enne ravennate Iacopo Gardelli, ‘L’Alsìr. Romanzo balneare’ edito da Fernandel. Dopo una laurea in Filosofia Iacopo, si è dedicato alla scrittura, al teatro, al giornalismo e all’insegnamento. "In spiaggia è impossibile perdersi: ci si perde in pineta, si scompare nel mare, ma in spiaggia si vede sempre tutto, la spiaggia è un posto dove ci si vede", scrive.

Come è nata la sua passione per la scrittura?

"È successo come succede con l’amore. Non decidiamo di innamorarci di qualcuno, semplicemente un giorno ci pensiamo su e capiamo che è troppo tardi, ci siamo dentro fino al collo. L’amore ci "succede". Lo stesso, per me, è stato con la scrittura. Ho sempre letto molto, fin da piccolo. E a forza di leggere, prima o poi si sveglia la voglia di provare a imitare i propri autori preferiti, capire se si è capaci di buttare giù qualche frase".

Curioso è il titolo, l’Alsìr, nome di uno stabilimento balneare. Perché? E perché proprio un romanzo balneare come specifica il sottotitolo?

"Ho incontrato questa parola, ‘alsìr’, leggendo l’Ercolani, il vocabolario romagnolo. Mi ha affascinato subito per il suo sapore orientale, così poco italiano. Significa ‘tempo libero’, ‘agio’, ‘ozio’: non a caso la radice latina, licere, è la stessa del francese loisir. Non potevo pensare a un nome migliore per un bagno al mare".

E perché proprio un romanzo balneare come specifica il sottotitolo?

"Tutto il romanzo, a parte qualche episodio isolato, si svolge sulla riviera. Anno dopo anno, sulle nostre spiagge, crescono, amano, litigano i protagonisti del libro, mentre attorno a loro un Paese muta e si avvia al fallimento economico e politico. Quando l’editore mi ha chiesto un aggettivo per descrivere il romanzo, ‘balneare’ mi è sembrato il più giusto".

Quanto c’è di lei e del suo vissuto nel romanzo e nel rapporto con la spiaggia?

"Tutte le cose che scriviamo parlano di noi. Ci tradiscono anche se non ce ne accorgiamo. In quasi tutti i personaggi del libro, più o meno coscientemente, ci sono aspetti di me e del mio rapporto con la spiaggia. Ma non volevo scrivere un’autobiografia. L’ambizione era quella di raccontare un luogo e una generazione, che cresce e segue il mutare di un Paese, dalla crisi politica post Tangentopoli, nel 1994, alla grande Recessione, nel 2012".

Una lingua inedita e meticcia. Può spiegare meglio che tipo di ricerca ha fatto a livello stilistico?

"Ho voluto sperimentare, tentando qualcosa che non era mai stato fatto – almeno a quanto ne so – nel panorama letterario romagnolo. Volevo fuggire dall’italiano editoriale standard, quella lingua ‘di servizio’, limata e depurata a uso del lettore, che alla fine sa di acqua minerale. È stato un azzardo: creare una lingua meticcia, che riuscisse a sopportare inserti romagnoli senza usare il dialetto e restando comprensibile a tutti. Lo studio è durato circa sei mesi: ho letto tre vocabolari da cima a fondo, compulsato moltissima poesia in dialetto, attinto al serbatoio della memoria per ricordarmi modi di dire, storpiature regionali e familiari. Se ho fatto un buon lavoro lo diranno poi i lettori".

Chi l’ha ispirato maggiormente, ha dei maestri?

"Ne ho moltissimi, che significa forse non averne. Cito i primi che mi vengono in mente: Flaubert, Munro, Gogol’, Sebald, Enzensberger, McCarthy, Melville. In Italia Fenoglio, Parise, la Ginzburg, Bassani, il Pasolini di ‘Ragazzi di vita’, Gadda, Levi, Longanesi. Fra i viventi: Siti, Marchesini, Reviati".

Questo è il primo di una lunga serie di romanzi? Ne ha altri nel cassetto?

"Ho in mente delle storie. Vedremo. I prossimi impegni saranno sicuramente in ambito teatrale, come negli ultimi cinque anni".