"Delitti rossi, vogliono mettermi il bavaglio"

La Procura chiede la condanna dello scrittore Gianfranco Stella, che in un libro accusò di omicidio un capo partigiano in realtà assolto

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La Procura lo vuole condannare a una multa di 15mila euro. Chi lo ha querelato si spinge a chiedere che la pena non venga sospesa e "l’affidamento ai servizi sociali". Lui, lo scrittore ravennate Gianfranco Stella, ribatte sostenendo che gli si vuole mettere il bavaglio, impedendogli di continuare a scrivere dei delitti partigiani nell’immediato dopoguerra. Quello per cui a gennaio il giudice Antonella Guidomei pronuncerà la sentenza è qualcosa di più di un semplice processo per diffamazione. Lo sfondo è, infatti, quello di un periodo storico che resta fortemente divisivo. Vicenda reggiana, trattata a Ravenna poiché luogo della pubblicazione del libro ’Compagno Mitra’. Nella prima edizione, Stella in un capitolo parla dell’uccisione del medico della frazione Arceto, il marchese Luigi De Buoi, indicando tra i suoi assassini l’ex capo partigiano, e poi sindaco di Scandiano, Luigi Paderni, mettendolo nel gruppo dei prosciolti per amnistia quando in realtà fu assolto da una sentenza del tribunale. Nelle edizioni successive, poi, Stella corresse il tiro.

Lo scrittore ha ribadito di sentirsi dalla parte della verità: "Quando scrivo una cosa è perché ne sono convinto". Ma il Pm Marilù Gattelli la pensa in altro modo: "La convinzione dell’imputato si basa su una serie di studi prodotti. Ma un conto è ricostruire un fatto con toni dubitativi, altra cosa è dire che una persona ha commesso un omicidio, quando la stessa è stata assolta con una sentenza di corte d’assise. Il fatto che Stella dica di avere due lauree e capacità di storico rafforza il concetto che abbia leso l’onore di questa persona, indicandolo con certezza come assassino, quindi anche senza continenza di linguaggio". Il Pm, nella sua requisitoria, ha ricordato che il processo che si sta celebrando "è sulla diffamazione, non sull’omicidio".

Ancora più duro il giudizio dell’avvocato Ernesto D’Andrea, legale degli eredi Paderni:

"Quest’aula è stata oggetto di un tentativo, interrotto, di rifare un processo definito con assoluzione. Quando si scrive con assoluta certezza che Paderni è l’autore dell’omicidio, e l’imputato si ostina nel sostenerlo, allora non ci sono più scusanti". Secondo il legale di parte civile, documenti e fonti utilizzati da Stella per suffragare le sue tesi sono stati prodotti "in modo incompleto" e comunque "non portano tesi a favore di Stella, ma lo smentiscono. La storia come scienza si fa sui documenti. E una sentenza, per quanto la si possa odiare poiché non condivisa, è un elemento insuperabile. Nel libro, Paderni viene associato a un killer poi amnistiato. E questo non è diritto di critica. L’imputato avrebbe potuto scusarsi, invece persevera nella sua tesi". Da qui la richiesta dell’affidamento "ai servizi sociali, istituto che serve a far recuperare certe lacune, anche solo per un mese", affinché "Stella non ricada negli stessi errori intenzionali, facendo danni morali alle persone".

Il difensore di Stella, avvocato Luca Tadolini, ha parlato di un tentativo di "chiudere la bocca" a uno scrittore scomodo, "addirittura invocando una ’rieducazione’ affinché smetta di scrivere libri sui delitti commessi dai partigiani nel triangolo rosso emiliano, argomento di cui ancora oggi è difficile parlare, in quanto da sempre vengono negati". Non solo: "Hanno fatto manifestazioni per impedire la pubblicazione del libro ’Compagno mitra’, nel 2022 i libri di Stella – ha sostenuto il legale in arringa – hanno la colpa di dire troppo, perché indicano anche i responsabili".

La difesa di Stella riconosce, da un lato, "l’errore di una parola sbagliata, parlando di fatti amnistiati" e "per una scelta di sintesi". Precisando che, una volta nota la sentenza di assoluzione di Paderni, la stessa è stata citata nelle edizioni successive, ma ricordando anche "il clima in cui si svolgevano i processi nell’immediato dopoguerra, con tanti morti tutti provocati dallo stesso gruppo reggiano". Riguardo a Paderni, "era il capo dei partigiani stalinisti" e nella seconda pagina della sentenza, "che all’inizio non si trovava, si parla di clima di omertà: i giudici scrivono che si trattò di un omicidio commesso da partigiani, quindi politico, mentre non vi erano prove che il medico De Buoi fosse stato ucciso per motivi privati, mancati certificati di esenzione dall’abilità alle armi".

Lorenzo Priviato