Eraldo Baldini e le streghe della Romagna

L’ultimo libro dello scrittore con Simona Camporesi "Vi spiego vecchi malefici, come la ‘pédga tajêda’"

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Ha un titolo quanto mai suggestivo, ‘Streghe, malefici e magia popolare in Romagna’, l’ultimo libro scritto a quattro mani dallo scrittore ravennate Eraldo Baldini e da Simona Camporesi, pubblicato da Il Ponte Vecchio Editore. I due si sono conosciuti diversi anni fa quando Camporesi contattò Baldini per un giudizio sulla tesi di laurea che aveva per tema proprio la stregoneria. Partendo da quel lavoro, nel tempo è maturato il progetto di questo libro a cui i due autori hanno lavorato in modo indipendente, per comporre due parti separate ma complementari. Baldini, chi erano le streghe e gli stregoni in passato?

"In realtà le due parole non avevano un significato univoco: nei secoli, o meglio nei millenni, si sono caricate di contenuti complessi, stratificati, che potevano variare a seconda dell’ottica con cui venivano intesi. A livello mitico, a volte venivano identificate come ‘streghe’ le anime dei morti che la religiosità precristiana credeva potessero irrompere nella dimensione terrena in certe occasioni".

E dal punto di vista storico? "Quelle persone che, organizzate in una specie di ‘esercito del male’, con l’ausilio di formule, pozioni, rituali magici e aiutate – ‘secondo quanto si sosteneva’ – dal Diavolo, potevano maleficiare uomini e animali, scatenare tempeste, distruggere raccolti. Streghe erano chiamate anche quelle figure ‘soprannaturali’ da incubo, mutuate dalla mitologia antica, che si pensava volassero nella notte e insidiassero i bambini nelle culle. Come strega o stregone veniva poi bollato dalla cultura egemone chi svolgeva millenarie pratiche collocabili tra magia e medicina assolvendo al compito di fattucchiera, erborista".

Quanti danni ha provocato la famosa ‘caccia alle streghe’ diffusa in tutta Europa e non solo?

"Il parossismo di quella sorta di ossessione che in Europa, soprattutto dalla seconda metà del Quattrocento alla prima metà del Seicento, vide farsi ‘cacciatori’ sia le autorità religiose sia quelle civili nutrendosi di complesse implicazioni religiose, culturali e sociali, si tradusse in un clima di sospetto e di repressione che andò a colpire, a ben guardare, soprattutto i contenuti ampi, profondi e millenari delle culture popolari. Non è possibile dire quante vittime la ‘caccia’ abbia lasciato dietro di sé: le stime vanno, per l’Europa, da 500 mila a molte di più".

Può fare qualche esempio dei malefici più temuti in passato?

"In Romagna, certamente quello della ‘pédga tajêda’, cioè dell’orma tagliata, ben descritto nel libro. Era ritenuto il più nefasto e si pensava che avesse esiti mortali, se non affrontato con le debite contromisure. Nelle nostre ricerche ne abbiamo trovata traccia fino ai primi del Novecento".

Oggi sopravvivono delle componenti per così dire magiche in Romagna?

"Sì, sono fra quegli elementi che hanno sempre accompagnato la storia dell’uomo, del suo modo di vedere il mondo, del suo intento di agire su di esso. Certo, la modernità ne ha profondamente erosa la pregnanza, ne ha mutato forme e obiettivi, ma non l’ha completamente cancellata. All’alba del terzo millennio, in fondo, questa credenza e i suoi interpreti sono ancora in qualche modo presenti, anche se con una importanza molto diversa rispetto al passato".

Roberta Bezzi