Gli uomini che fanno rivivere gli eremi

Amano la natura e il silenzio. Passano il tempo in luoghi isolati e si prendono cura degli eremi: le storie.

Luca Ceroni, da cassaintegrato a eremita (Foto Bartolomei)

Luca Ceroni, da cassaintegrato a eremita (Foto Bartolomei)

Faenza (Ravenna), 20 settembre 2016 -  "Questo  è stato un mezzo miracolo. Stavo lavorando a Gamogna, una volontaria un giorno mi fa, il prossimo dev’essere Lozzole". Don Antonio Samorì di Faenza,  da 40 anni ha un’idea in testa, far rivivere gli eremi. Il suo raggio d’azione è l’Appennino. Ha recuperato per primo Trebbana, a due passi da Tredozio, nel Forlivese. Poi è arrivato a Gamogna, l’eremo fondato da San Pier Damiani. Infine ha fatto rinascere Lozzole, oggi custodito da Giovanni Antonio Sini. Don Samorì lancia una proposta: "Ogni prete dovrebbe adottare una chiesa abbandonata. Sono convinto che con la crisi una parte di persone tornerà a vivere sul nostro Appennino". Il prete romagnolo è già stato ribattezzato muratore di Dio. Si muove con una Panda 4x4 e con quella scala i sentieri più ripidi sui monti. La macchina è superequipaggiata, dai paramenti per l’estrema unzione all’occorrente per matrimoni e battesimi. Ringrazia chi l’ha aiutato, "in questi cantieri hanno lavorato decine di volontari". Come Gianfranco Mengozzi di Lugo (nella foto in alto). Don Samorì si muove veloce, controlla e rincuora. Saluta una coppia di turisti inglesi, estasiati dal panorama di Lozzole, "ogni anno passano migliaia di pellegrini. I nostri Appennini sono più alla portata delle Alpi. Qui diciamo la Messa per le grandi occasioni. Solo la sera di Natale ci sono cinquecento persone. I toscani mi hanno preso un po’ in giro, peccato sia stato un romagnolo a rimetterlo a posto mi hanno detto!".

La storia di Luca, 44 anni, imolese custode di San Michele a Trebbana.

A che ora comincia la sua giornata? 

Sorriso di comprensione: "Non ho l’orologio, non lo so. Ho abbandonato il tempo. Quando fai così, cominci a vivere". Luca Ceroni, 44 anni, imolese, da 14 mesi è l’eremita di San Michele a Trebbana, sull’Appennino tosco emiliano, quasi sul crinale. Siamo nel Comune di Marradi ma Tredozio, nel Forlivese, è a pochi passi, la diocesi è quella di Faenza-Modigliana. Ci arrivi dopo quaranta minuti di sentiero tra i boschi, tutto in salita. C’è odore di legna che arde e di pane che cuoce sulle braci, si sente una radio accesa.

Luca, cosa faceva prima?

"Tanti mestieri, l’ultimo nell’edilizia. Fino alla cassintegrazione".

La crisi riporta la gente nei boschi. In America i senzatetto nelle foreste sono diventati un’emergenza. Sta accadendo la stessa cosa anche da noi?

"Non saprei. Di sicuro tanti fanno questa scelta. Tornano in mezzo alla natura. La natura parla. Il silenzio a volte fa molto rumore. Bisogna saperlo prendere". Un cane nero si stiracchia: "Io ho Gletor, che è il mio bimbo, e una cavalla, Titina".

Giù, a valle, a mezz’ora buona di cammino, vive un altro eremita.

"Sì, Ugo. Qui una volta c’erano le famiglie. Bisogna essere portati a non aver bisogno delle comodità. Conosco molta gente che ha cambiato vita".

Lei ha scelto il silenzio e la solitudine.

"Quando sono arrivato ero depresso. Mi sono detto: qui ci muoio, cosa mangio? E in quel momento ho ritrovato la chiesa. Sono arrivati quattro mesi di cibo. Quattro mesi, capisce?".

L’inverno non le fa paura.

"Non c’è più neve, ormai. Ero pronto ma niente. Non è stato nemmeno freddo".

Eremita e scultore.

"Faccio fatica a dire che è un mestiere. Sono un po’ geloso. Mi piace insegnare agli altri, ai ragazzi".

Non le pesa mai la solitudine?

"Veramente da qui passano 5mila-seimila persone all’anno. Tanti pellegrini diretti a Roma, arrivano in treno a Marradi e poi proseguono a piedi. Escursionisti, amanti della natura".

Questo è un parco nazionale.

"Con don Antonio Samorì l’anno scorso abbiamo fatto la strada per riuscire ad arrivare qui anche d’inverno. Pensi che l’altro giorno è salito fin quassù un sessantenne della Nuova Zelanda".

Il silenzio.

"Lo amo. Luglio, agosto e settembre sono pieni di gente, anche troppa. Tanti bambini, tanta confusione. D’inverno è diverso. Ma non è solitudine. È respiro".

Pensa che la sua scelta sia per sempre?

"Per ora la considero un passaggio. Questo è un ottimo laboratorio di scultura. Quando sono arrivato, era tutto abbandonato a se stesso, alla società violenta. Perché la società è violenta. Don Antonio cercava un custode da un pezzo. Mi sono detto, far l’eremita no. Invece..."

Le giornate sono lunghe.

"Veramente non me ne accorgo. Faccio il pane, spacco la legna, pulisco. Vivo di quello che mi lasciano i pellegrini. Quest’estate sono tornate tanto le famiglie. Non si vedevano più, il posto era abusato da bulli senza rispetto".

In solitudine ma con la corrente elettrica.

"Sì, c’è sempre stata. E mi è appena arrivata una lavatrice da San Marino. Almeno lavo i copriletto, quando piove qui c’è fango ovunque".

Gli eremiti nel 2016 che senso hanno?

Pausa lunga: "Sono fuori dal sociale. La società è cruda, basata solo sul denaro. Conta quanto sei vestito bene (si tocca la maglietta) e quante cose hai. L’eremita va al cuore".

Lungo il sentiero ha lasciato cartelli. Uno è ironico: tutti vogliono tornare alla natura ma pochi ci vogliono andare a piedi.

"Invito a salire a piedi perché così si lascia tanta roba per strada. Quando si arriva quassù, si prendono le energie di Trebbana. Ci vuole un giorno per scaricare tutto... Li riconosco subito, quelli che arrivano da giù, dalla città. Parlano veloci, sono frenetici. Tanti mi portano il figlio e si raccomandano: te lo lascio per 15 giorni, insegnagli qualcosa".