Filetto, il Comune intanto sborsa 4mila euro

La sentenza del Consiglio di Stato è diventata esecutiva. Ancisi (LpRa): "Debito fuori bilancio ed è solo il primo atto di pagamento"

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La sentenza del Consiglio di Stato, che aveva dato ragione agli autocostruttori di Filetto, mettendo la parola fine alla vertenza giudiziaria che li aveva opposti al Comune di Ravenna, è diventata esecutiva. E ora, come fa sapere il capogruppo di Lista per Ravenna-Polo civico popolare Alvaro Ancisi, l’ente "dovrà versare, attraverso un debito fuori bilancio, 4.238 euro di rimborso delle spese legali sostenute da loro, associati nella cooperativa Mani Unite". Mercoledì prossimo la Giunta comunale presenterà in commissione la delibera in merito ed "è solo il primo atto di pagamento".

Come dava notizia il nostro giornale a metà luglio, infatti, il Comune, che aveva il "ruolo di promotore dell’iniziativa", doveva vigilare sul progetto anche senza "contratto o incarico formale". Così il Consiglio di Stato, con sentenza pubblicata allora, aveva messo la parola fine al braccio di ferro amministrativo innescatosi sull’avventura degli autocostruttori di Filetto respingendo il ricorso di Palazzo Merlato e condannando l’ente locale a pagare le spese di giudizio (compensate invece quelle nei confronti di Alisei ong).

La intricata vicenda si inserisce

nell’ambito del cosiddetto housing sociale, formula che consente di ampliare l’offerta degli alloggi anche a persone che si trovino economicamente a metà del guado: hanno cioè un reddito troppo alto per accedere all’edilizia residenziale pubblica ma troppo basso per sostenere i costi del libero mercato. Ed eccoci dunque a Filetto, località del Ravennate dove l’iniziativa di edilizia di autocostruzione totale promossa dal Comune, risale al 2003. Il progetto consisteva nel lavoro diretto dei 14 soci futuri assegnatari delle 14 villette a schiera per prezzi inferiori del 40-50% a quelli di mercato. Fantastica idea via via arenatasi tra controversie, ritardi, bracci di ferro e persino il fallimento di una ditta nel 2010.

Il compito di vigilare, già secondo il Tar di Bologna con sentenza del 18 marzo 2021, spettava al Comune. In particolare i giudici bolognesi, accogliendo parzialmente la domanda di risarcimento del danno a favore della cooperativa Mani Unite, avevano sì riconosciuto, come sosteneva Palazzo Merlato, che nella concessione del contratto non era "stato inserito alcun vincolo

specifico". Ma avevano pure sottolineato che gli autocostruttori "sono soggetti privi di competenze specifiche chiamati a fornire attività di bassa manovalanza". Come dire che è "indispensabile una regia tecnica" in grado di "assicurare esperienza e professionalità". Serviva insomma una supervisione quale "elemento essenziale a garanzia del buon fine dell’operazione". E il Comune, "quale soggetto pubblico con il ruolo di promotore dell’iniziativa", non poteva "ritenersi estraneo ai compiti di vigilanza e controllo".

Una linea di ragionamento sposata anche dal Consiglio di Stato "alla luce dei principi di correttezza e buona fede". In particolare, "nonostante la situazione di inerzia dei lavori fosse conclamata già dal 2010", il Comune di Ravenna "non è intervenuto attivamente nella supervisione dei lavori e nella verifica della corretta gestione finanziaria dell’intera operazione, come avrebbe dovuto fare". Un atteggiamento che i giudici romani hanno definito di "assenza in una logica di supervisione spettante all’ente pubblico", almeno nel momento in cui "è risultato conclamato che l’operazione di housing sociale non riusciva ad andare a buon segno". E che hanno bollato come "ingiustificato". Ora la sentenza è diventata esecutiva e tocca al Comune sborsare i soldi delle spese legali sostenute dagli autocostruttori.