
"Finalmente posso pulire la lapide di mio marito e mettere un fiore. È da maggio che non potevo fare una visita!": la signora Valeria avrà un’ottantina di anni e, salita sul secondo gradino di una delle scale di servizio, cerca di avere ragione di quei rivoli marroni che hanno intaccato le pareti e il bordo del marmo di gran parte delle lapidi nelle varie Badie inondate dalle acque del Lamone. Un lavoro, quello della signora, improbo, visto che anche con i mezzi industriali degli operai che in questi quattro mesi hanno rimosso acqua e fango, non ha dato molti risultati. D’altronde prima che l’umidità se ne vada dai muri dei loculi ne deve passare di tempo e intanto l’acqua continua a fuoriuscire goccia dopo goccia portando con sé ancora oggi – si vedono i rivoli – quel colore inquietante che, come chiarito dall’amministratore delegato di Azimut, altro non sarebbe che il prodotto dello scioglimento delle vernici che ricoprono le bare.
C’è gente, nelle nuove aree rese agibili ieri mattina, nell’ala di recente costruzione (nel 2018) verso il quartiere Bertoni: sono prevalentemente persone attempate che, saputo dell’apertura, hanno raggiunto il cimitero con scope, secchi, badili e hanno cominciato a mettere ordine attorno alle piccole tombe dei loro cari, a togliere l’erba, a mettere un vaso nuovo al posto di quello frantumato o sparito nell’inondazione. E a pulire le lapidi. Certo, tutt’intorno i segni del disastro sono ancora evidenti, ma, come dice l’assessore Massimo Bosi, "quella del cimitero era e resta un’emergenza nell’emergenza" per il valore e il significato che la cura della tomba dei defunti ha da quando migliaia di anni fa la sepoltura dei corpi ha segnato il passaggio alla civiltà.
Per questo Comune e Azimut hanno cercato di procedere a tappe nelle riaperture, forzatamente inserite in scenari il cui ripristino completo comporterà anni. Da una parte è rassicurante che, finalmente, anche l’argine del Lamone, all’altezza della rotta del fiume davanti al muro di cinta del cimitero, sia stato ripristinato e consolidato, dall’altra si incontrano pietre tombali sulle quali sono raccolte decine e decine di vasi alcuni indenni, molti frantumati; e così anche tante lapidi sono raccolte in mucchi, molte sono a pezzi, non tutte conservano le foto dei sepolti.
Uno scenario inevitabilmente da accettare, ci vorranno mesi, tanti mesi, per tornare a una normalità che però non sarà mai quella ante alluvione. Nell’ultimo campo comune, il quarto, davanti alla Badia II, da qualche settimana sono riprese le tumulazioni nella nuda terra, ce ne sono quattro da luglio a oggi. Ed è tornato ad essere visitabile il campo comune per gli immigrati musulmani, le piccole lapidi con iscrizioni in arabo, una grande lapide a forma di cuore con la foto di una ragazza.
Questo estremo lembo del cimitero, verso sud ovest, è ancora un cantiere aperto e l’intera area è inaccessibile. Qui c’è il problema della Badia seconda e terza che hanno piani interrati e seminterrati. Nell’interrato, dove, in un settore, ci sono i resti di persone defunte anche cento anni fa, il pavimento dei corridoi è ancora ricoperto di acqua e fanghiglia, qui i muri scaricano e continueranno a scaricare acqua chissà ancora per quanto. E anche per questo ieri mattina è entrata in azione un’auto-spurgo per cercare di svuotare fognature e pozzetti. Molti dei loculi dei reparti seminterrati e interrati sono privi della chiusura e della lapide, che sono state tolte per far uscire l’acqua e per far circolare aria nel tentativo, arduo, di accelerare il prosciugamento. Azimut, come scriviamo a fianco, conta di chiudere questo cantiere entro metà ottobre, ma forse la previsione è troppo ottimistica. Altri operai stanno lavorando per ripristinare le pareti dei loculi vuoti della Badia V, sfondati dall’acqua, che qui si era riversata soprattutto dall’altra rotta, quella dell’argine vicino al quartiere Bertoni e che qui, al cimitero, aveva raggiunto il livello del tetto, oltre quattro metri.
Carlo Raggi