Fondi Covid sequestrati: "Svista dell’accusa"

Restituiti gli 840mila euro a tre imprenditori indagati, il Tribunale: "La consulente del Pm ha preso a riferimento il bilancio sbagliato"

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La Guardia di Finanza aveva sequestrato 840mila euro a tre imprenditori per fondi Covid ritenuti indebitamente percepiti. Ma l’inchiesta si è subito azzoppata dopo che il tribunale in funzione di Riesame, su ricorso delle difese, ha restituito l’intera cifra sottolineando l’errore della consulente del Pm nel trarre il fatturato di riferimento dal bilancio del 2018 anziché da quello del 2019. E in conseguenza di ciò uno dei reati contestati, l’indebita percezione di erogazioni pubbliche, cade mentre resta in piedi la truffa ma solo in relazione al ruolo dei tre indagati, dove uno accusa due ex collaboratori di avergli soffiato l’azienda. Gli indagati sono il 52enne di Ravenna Massimo Bartoletti, difeso dagli avvocati Giovanni Scudellari e Antonio Primiani, e con lui il 52enne reggiano Giampaolo Nizzoli e il 64enne bolognese Maurizio Calza, tutelati dagli avvocati Carlo Benini e Giovanni Fontanieri. La vicenda aveva fatto clamore non solo perché di mezzo c’erano i fondi Covid del ’Decreto Liquidità’, ma anche perché uno degli accusati di truffa, nell’ottica della Procura, sarebbe stato a sua volta truffato dai suoi sedicenti ex consulenti, Nizzoli e Calza, che senza versargli un centesimo si sarebbero impossessati della sua Tecnohelp, impresa con esperienza ventennale nel settore delle forniture alberghiere e per ristoranti. Ora, l’ordinanza del Tribunale cambia lo scenario. Anzitutto già un primo Gip aveva riqualificato l’accusa iniziale di truffa allo Stato in quella di indebita percezione, ora picconata per la "carenza dei presupposti" ed escluso la malversazione. Se da un lato i giudici lasciano aperta la partita interna tra gli indagati ("ambiguità della complessiva operazione nell’acquisto di Tecnohelp da parte di Nizzoli e Calza, il cui ruolo o meno di vittima di truffa rivestito da Bartoletti sarà eventualmente approfondito in corso di giudizio"), dall’altro spiegano perché si è arrivati al dissequestro e alla restituzione ai tre dei fondi Covid. La loro indebita percezione, secondo l’accusa, avrebbe anzitutto riguardato non l’intera cifra ma un finanziamento più elevato del dovuto di 100euro.

Dunque "l’illecita percezione non sarebbe tanto ravvisabile nella mancata sussistenza dei presupposti per accedervi, quando nella errata indicazione dei dati forniti nella richiesta per quantificare la somma". Non solo, perché oltre "all’evidente errore" della consulente del Pm "nell’assumere i dati da porre alla base del calcolo della somma erogabile", il bilancio di un anno piuttosto che di un altro, la carenza dei requisiti viene indicata dall’accusa nel fatto che la Tecnohelp non sarebbe stata danneggiata dalla pandemia. Ad avviso del tribunale si tratta però di un’accusa "alquanto generica" e non sufficiente a supportare il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche". Senza considerare il fatto che l’impresa, operando nel settore della ristorazione, può "astrattamente essere stata colpita" dai lockdown.

Lorenzo Priviato