
Quattro anni e due mesi di reclusione sia per la violenza sessuale che per la rapina del cellulare di lei. È la condanna inflitta nella tarda mattinata di ieri dal gup Andrea Galanti al 30enne lughese bloccato dai carabinieri a Lugo nella notte tra il 9 e 10 gennaio scorsi con l’accusa di avere tentato di stuprare all’autostazione una 25enne residente a Imola e di averle poi sottratto il cellulare per impedirle di chiamare aiuto.
Alla ragazza, parte civile con l’avvocato Andrea Valentinotti, è stato anche riconosciuto il diritto di essere risarcita in separate sede e le è stata intanto assegnata una provvisionale di 5 mila euro. La procura (pm d’udienza Francesca Buganè Pedretti) aveva chiesto una condanna congrua a quella inflitta. Mentre la difesa (avvocato Alessandra Venturi) aveva chiesto l’assoluzione in particolare lamentando varie incongruenze nel racconto della ragazza. Per questo motivo, non appena entro 90 giorni verranno depositate le motivazioni, si è riservata di fare ricorso in appello.
In quanto all’imputato - con un precedente per ricettazione per il quale aveva patteggiato due anni con pena sospesa -, dopo essere finito in carcere e ai domiciliari, in seguito all’istanza del suo legale nella precedente udienza di inizio luglio, ha ora il solo obbligo di dimora sul territorio lughese.
La notte dei fatti, la giovane, una volta in caserma, aveva riferito in buona sostanza di essere stata avvicinata alle spalle mentre si trovava su una panchina: il suo aggressore l’aveva quindi strattonata per i capelli facendola finire a terra e tentando di stuprarla. A quel punto lui era riuscito a spogliarla parzialmente, a sua volta facendo la stessa cosa con i suoi abiti. Ma lei aveva reagito riuscendo a urlare e a scappare. Poco dopo era stata soccorsa da una automobilista di passaggio la quale aveva infine chiamato l’Arma.
Il 30enne nel corso della successiva udienza di convalida, aveva invece negato di avere spogliato o anche solo toccato la 25enne sostenendo di averle solo rubato il cellulare dopo averglielo visto in mano (al momento dell’intervento dei carabinieri, lo aveva ancora con sé). A riprova della sua versione, l’accusato, che era reduce da una serata con amici, aveva invocato la visione dei filmati delle telecamere di sicurezza dell’autostazione aggiungendo che all’arrivo in caserma, era ignaro dell’accusa di violenza sessuale.
Nell’udienza di inizio luglio, secondo la difesa la 25enne era caduta più volte in contraddizione offrendo risposte non sempre convincenti: tanto che la procura aveva disposto nuovi accertamenti sui tabulati telefonici della scheda in uso alla giovane. I nuovi elementi non sono però stati sufficienti a introdurre un nuovo scenario perlomeno dal punto di vista dell’inquadramento giuridico dei fatti.