In un articolo del Resto del Carlino ho letto la notizia di opere d’arte da vendere all’asta, tra le quali alcune di Gaetano Giangrandi. Era voce diffusa, qualche decina di anni fa, che, una volta deceduto, questo pittore avrebbe avuto quotazioni esorbitanti. E diversi ravennati, per un certo tempo, si procurarono suoi quadri, stimolati dalle aspettative di investimento.
Gran parte di ciò era dovuto a una certa stravaganza di questo pittore, conosciutissimo, spesso per le vie del centro sulla sua bici con l’immancabile cappello, e preso da soliloqui a bassa voce ma con lo sguardo diretto a ’qualcuno’.
In sintesi: ai ravennati l’idea che un artista fosse “matto” (non lo era) affascinava irresistibilmente. L’artista “matto” era colui che vedeva oltre, dove altri non possono. Una sorta di “eletto”. Purtroppo il tempo fu il vero artefice di un reale peggioramento della salute di Giangrandi.
La sua ultima casa, su via Ravegnana, sullo svincolo verso viale Alberti, divenne una specie di macchina del tempo, sulla quale comparvero numerosi motti di circa 60 anni prima. Non era ancora il tempo dei ’fotografi tutti’ con i telefonini o sopravviverebbero centinaia di immagini. Non ho citato la macchina del tempo a caso: Giangrandi, infatti, aveva anche tesi ufologiche molto personali.
Rosalba Maccanti