Gas, la ’miniera’ scoperta 70 anni fa Qui la scintilla del boom economico

Si riparla di estrazioni in un territorio che fece da apripista e che spinse Enrico Mattei a costruire l’Anic, alimentando case e industrie. I primi pozzi perforati nell’entroterra, zona Sant’Alberto

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Dopo settant’anni, la produzione di metano torna a far rimbalzare Ravenna nel dibattito nazionale, vuoi per il fronte ancora aperto della ripresa dell’estrazione dal fondo dell’Adriatico vuoi per il previsto arrivo del rigassificatore da ancorare al largo fra Marina e Punta Marina, all’altezza della stazione di pompaggio del petrolio costruita dalla Sarom nel 1960. Ma se oggi il metano assurge a questione di ‘interesse nazionale’, nei primi anni Cinquanta la scoperta che il sottosuolo ravennate era ricco di gas naturale fu stimolo fortissimo al ‘boom’ economico e portò a due risultati immediati e pressoché contemporanei, ovvero la sua distribuzione nelle abitazioni e nelle industrie e la costruzione dell’Anic che il presidente dell’Eni Enrico Mattei volle proprio per lo sfruttamento industriale del prezioso prodotto. Un’avventura, quella della coltivazione del metano ravennate, che coinvolse all’unisono le istituzioni, la città e la provincia perché fin dal primo momento fu chiaro l’orizzonte di progresso (i cui risvolti negativi non potevano all’epoca essere conoscibili) che stava davanti: se ne è dibattuto sui quotidiani dell’epoca (Il Giornale dell’Emilia, il Resto del Carlino, L’Avvenire d’Italia, il Progresso), se ne discusse in convegni organizzati dalla Camera di Commercio dove spesso Mattei era di casa.

La storia ravennate del metano inizia fra il 1951 e il ’52 con le prime ricerche nell’entroterra, ma quella nazionale risale alla fine della guerra quando Mattei, nominato commissario straordinario per l’Agip con l’incarico di smantellare la sezione mineraria, fece il contrario intensificando le ricerche e così scoprì che la Val Padana galleggiava sul metano. Fu nel ’5152 che le trivellazioni fra Ravenna e Sant’Alberto portarono alla perforazione dei primi quattro pozzi, "fra i più importanti della Val Padana" come sottolineò Mattei a un convegno alla Camera di Commercio nell’aprile del 1953 e come peraltro già ben aveva intuito colui che all’epoca il metano lo usò per la prima volta come carburante per le auto, ovvero il sant’albertese Angelo Amadori. E proprio in quell’aprile del ’53 a San Severo di Cotignola un’altra grande scoperta, un enorme deposito a due passi dal Lamone, con una pressione tale e inaspettata che alla fuoriuscita il gas s’incendiò e per notti e giorni la fiamma fu ben visibile dalle colline mentre sull’argine del fiume si assiepavano centinaia di persone e le pie e timorate contadine sostenevano che tutto quello era opera del diavolo!

Già nel 1954 i campi produttivi si erano estesi, fino ad Alfonsine e i pozzi attivi erano saliti a 34. Comunicava Enrico Mattei al senatore romagnolo Giovanni Braschi (fu anche ministro delle Poste, morì a Faenza nel ’59) che le perforazioni si stavano estendendo a tutta la Romagna e che a Ravenna si stava costruendo la rete di distribuzione cittadina del metano: e infatti le prime abitazioni ravennati ne usufruirono fra la fine del ’56 e il ’57, mentre nel dicembre del ’56 era stata Alfonsine la prima località romagnola ad accendere i fornelli con il metano estratto dal proprio sottosuolo. Contemporaneamente stava sorgendo l’Anic. Non solo: mentre nascevano i primi asseriti problemi di subsidenza terrestre con l’allarme per "l’abbassamento del Delta del Po" che indusse il governo, nel gennaio del ’61, a chiudere a scopo precauzionale 70 pozzi metaniferi in area veneta, le ricerche del metano si allargavano all’Adriatico, al largo di Marina.

Carlo Raggi