Giulia Menichetti da Ravenna a Boston per svelare i segreti di cibo e salute

La ravennate di 36 anni è a capo del progetto Foodoma e insegna alla Harvard Medical School

Giulia Menichetti

Giulia Menichetti

Ravenna, 15 gennaio 2023 - Avere idee e trovare soluzioni per realizzarle, spinta da una curiosità tanto precoce quanto inesauribile da indurla, alle elementari, a pensare come descrivere matematicamente la nascita del cosmo. Con tali premesse il futuro professionale di Giulia Menichetti non poteva essere che quello che oggi, a 36 anni, la vede docente alla Harvard Medical School e capo equipe di ricerca al Network Science Institute di Boston dove ha ideato e lavora al progetto F oodoma con l’obiettivo di trasformare la scienza dell’alimentazione in una scienza esatta attraverso il sequenziamento dei componenti dei cibi e scoprire gli ‘ultra processati’ e comprendere come interagiscono tra di loro e con il nostro Dna. La finalità ultima è quella di individuare i cibi con impatto zero sulle malattie, a partire da quelle cardiovascolari.

Gli Usa sono da tempo la sua seconda patria e lo stanno per diventare anche per il marito, il ravennate Rudy Gatta, vulcanico cultore delle tradizioni e del dialetto romagnolo, attore, podista e consigliere comunale del Pd.

Lei è una scienziata e la scienza presuppone curiosità per le cose del mondo. Come nasce questa curiosità?

"Probabilmente era latente, dentro di me. A farla emergere sono stati i miei insegnanti".

Cominciamo dalle elementari.

"Ero alle Pavirani, io sono nata e abitavo nel Borgo San Biagio, e ho avuto maestre fantastiche, a cominciare da Gianna Manzi che mi ha dato le basi per la struttura del linguaggio; poi Teresa Giardini, di matematica, che con Manzi organizzò una serie di lezioni fatte da un ricercatore che veniva a parlarci della nascita del cosmo. E lì venne fuori la curiosità: mi sorpresi a pensare come descrivere con il linguaggio matematico i momenti successivi alla ‘singolarità’ iniziale".

Riflessioni da universitaria!

"Ma no, bastava seguire il racconto che faceva, il resto venne da sé e si consolidò alle medie dove incontrai una docente, Rebecchi, esempio di donna di scienza molto forte. Poi le superiori…"

Ovviamente lo scientifico.

"Certo. Due i docenti che hanno lasciato il segno, Merloni e le sue lezioni di biologia e Agostinelli, insegnante di filosofia, una materia che ancor più apre la mente alle riflessioni. Insegnanti eccellenti per bravura e umanità".

Quando si è diplomata?

"Nel 2005 col massimo dei voti, a conclusione del corso a indirizzo Brocca. Sei ore al giorno di lezioni intensive, materie scientifiche, latino, filosofia: corsi del genere purtroppo non ne ho visti più. Ah, dimenticavo, oltre a studiare facevo sport, pallavolo, nella Teodora con Sergio Guerra, poi, da universitaria, in squadre bolognesi".

E così arriviamo all’università.

"Devo dire grazie ai miei genitori che non mi hanno fatto mai pressioni, nel senso di una facoltà che desse sbocchi professionali presto. È stato un grande regalo anche se la mia famiglia non è certo ricca".

Mi dica dei suoi genitori.

"Il babbo, Maurizio, è stato medico al Pronto soccorso ed è in pensione da tre anni, la mamma, Patrizia, laurea in filosofia, ha sempre operato sul fronte della comunicazione e marketing, alla Lega delle Cooperative e all’Unipol".

All’università, scelse fisica.

"Dopo aver scartato Ingegneria perché troppo ‘ingessata’ e Matematica perché facoltà fine a se stessa, a me piace indagare sulla natura degli eventi, cercare l’idea e usare la matematica per formalizzarla. Di qui l’unica scelta per me possibile, fisica".

Quando la laurea?

"Nel 2011, dopo quasi due anni a Boston, con una borsa di studio, per preparare la tesi".

L’argomento?

"L’entropia applicata ai network biologici, ovvero alle reti di relazioni che governano i sistemi complessi, come il corpo umano ma anche mondi astratti come i social, internet. Per le reti biologiche, l’idea è stata quella di indagare sulle interconnessioni che si originano nella popolazione, a seconda delle condizioni in cui si trovano, ad esempio giovani/anziani, malati di cancro primario/malati con metastasi e così via e il risultato è che c’è una certa probabilità di osservare una certa connessione piuttosto che un’altra. E questo permetterà di avere a disposizione mappe per predire le dinamiche successive".

La tesi sostanzialmente è stato il punto di partenza dei suoi successivi studi, o sbaglio?

"Esattamente. È da considerare l’avvio delle mie ricerche sviluppate durante il dottorato portato avanti fra Bologna e Londra, all’università Queen Mary, fra il 2013 e il 2014".

E dopo il dottorato?

"Ho escluso la strada della carriera universitaria, volevo fare esperienze diverse, soddisfare la mia curiosità, viaggiare. A fine 2015 seppi che a Boston il professor Albert Barabasi, un luminare nel campo delle reti e dei network, stava cercando assegnisti di ricerca per una serie di progetti nuovi al Network Science Institute. A Natale gli mandai curriculum e materiale sui miei lavori, pochi giorni dopo mi chiamò. A marzo andai a Boston a incontrarlo, fu colpito dai miei lavori. Mi offrì un contratto che accettai subito negoziando solo il tempo del trasferimento".

Quando fu?

« Agosto 2016, dovevo preparare la famiglia e finire cose con l’università di Bologna; questa volta andavo senza data di ritorno! E’ stato sicuramente un atto di fede nei confronti di un’avventura tutta da scoprire".

E lo stipendio?

"Senz’altro molto più alto che in Italia, ma a Boston la soglia di povertà è di 70mila dollari! Pensi che si lavora anche 13 ore al giorno e che si è immigrati, si deve pagare tutto, non esiste stato sociale. Non è semplice essere immigrati in Usa: sono qua da sei anni, sto facendo la green card, lavoro per l’università di Harvard, sono bionda con la pelle chiara eppure capita spesso di essere fermata e trattenuta per ore per controlli!"

Come è approdata al campo di ricerca che l’ha resa famosa, al progetto Foodoma?

"Nell’ambito di un progetto nazionale cui Barabasi e l’Istituto partecipavano, finalizzato a trovare una ‘idea coraggiosa’ per applicare la medicina di precisione alle malattie cardiovascolari che negli Usa sono la prima causa di morte e che comunque non hanno origini genetiche. E io prospettai l’idea di scandagliare il fronte fino ad allora inesplorato delle componenti di base dei cibi per accertare come quelle molecole interagiscono fra di loro e con il nostro genoma, con le nostre molecole. Ci fu l’ok di Barabasi e trascorsi due anni a definire il concetto, a gestire la comunicazione, a trovare i fondi che in Usa se fai comprendere bene l’oggetto della ricerca, arrivano: fondazioni, privati, governo".

E alla fine la ricerca è partita. "La materia è estremamente complessa, i tempi sono lunghi anche perché i dati sui componenti del cibo vanno cercati alimento per alimento. Grazie all’algoritmo FRro che abbiamo sviluppato sono stati analizzati 3500 alimenti e 135mila molecole per individuare i cibi ultra processati, dannosissimi per la salute. Sono numeri destinati sempre più ad ampliarsi. Adesso stanno uscendo i primi articoli sul lavoro svolto. Nel frattempo ho avuto anche l’incarico di docente alla Harvard Medical School e continuiamo a portare avanti la ricerca".

Obiettivo finale è quello di fare della nutrizione una scienza esatta e prevenire le malattie cardiovascolari…

"E così far risparmiare i governi sulla salute pubblica, soprattutto in Europa, all’Inghilterra ho già prestato la mia consulenza in materia. Già ora è possibile fare qualcosa, sotto il profilo quanto meno della corretta e trasparente informazione nutrizionale secondo determinati criteri. Penso ad esempio alla collaborazione delle grandi distribuzioni, come la Coop e ad app particolari già esistenti".

L’ultima volta che è tornata a Ravenna?

"L’estate scorsa, per visitare i miei, ricevere un riconoscimento dal Rotary e sposarmi, con Rudy Gatta, il 6 agosto. L’avevo conosciuto l’anno prima. In questi giorni mi ha raggiunto a Boston, si stabilirà qui".