
Giuseppe Musca durante un’udienza in tribunale a Ravenna: ha 75 anni (Foto Fabrizio Zani)
I nomi erano quelli di aziende di un certo peso nel tessuto economico cittadino. Ovvero Asa Holding, Romauto e soprattutto Arca. Società legate dallo stesso destino: il fallimento per un totale di 33 milioni di euro di passivo. Uguale a indagini della guardia di Finanza e processi. Giovedì il passaggio finale, quello davanti alla Cassazione. Che ha restituito un conto conclusivo solo per il principale degli imputati: l’immobiliarista Giuseppe Musca (è difeso dall’avvocato Domenico Di Terlizzi). Per lui, al netto di alcune riduzioni, ciò ha significato una pena definitiva di 6 anni e 3 mesi di reclusione (si partiva da 6 anni e 6 mesi). Dunque nelle prossime ore potrebbe scattare l’ordine di esecuzione. Non è automatico però: la difesa potrebbe avere già fatto richiesta per un differimento o, al massimo, per una detenzione domiciliare alla luce dell’età dell’imputato.
Per la moglie Susi Ghiselli (avvocato Gianluigi Lebro) si partiva da 5 anni e 8 mesi: in questo caso una parte della sentenza è tornata in corte d’appello e una parte è passata in giudicato. Per conoscere il conto, dovremmo dunque attendere. Infine per il figlio di Musca, l’imprenditore Nicola (avvocato Giorgio Guerra), si partiva da una condanna a 3 anni: in questo caso la Cassazione ha annullato con rinvio alla corte d’appello facendo dunque tornare in auge la sua assoluzione: l’unica pronunciata in primo grado.
Il principale, e più combattuto, dei fascicoli aperti sulla famiglia Musca, non si è dunque ancora chiuso nonostante una gimcana giudiziaria che lo aveva già fatto approdare fino alla Cassazione. Ad alimentare il tortuoso percorso, era stato il colpo di scena che aveva caratterizzato il primo appello Bologna dell’aprile 2021 quando la corte aveva deciso di annullare la sentenza dichiarando, come chiesto dalle difese, la nullità del decreto di giudizio immediato e ordinando la restituzione degli atti alla procura di Ravenna. Ma il ricorso di quest’ultima alla Suprema Corte, aveva fatto retrocedere di nuovo tutto a un appello-bis a metà ottobre 2024. A Ravenna nel settembre 2018 in primo grado era finita a 10 anni e 6 mesi per Musca, 8 anni per la moglie e assoluzione per Musca junior.
A suo tempo l’immobiliarista si era assunto la paternità di quasi tutte le operazioni definendole di natura puramente imprenditoriale e soprattutto condotte nella legalità. Nello specifico in aula aveva sostenuto che quando aveva lasciato le varie società finite poi al vaglio delle Fiamme Gialle, queste non si trovavano in stato di decozione (cioè di insolvenza prossima al fallimento). In questo contesto, si era assunto la responsabilità di manovra. E non solo per le operazioni fatte personalmente: ma, con dei distinguo, anche per quelle che altri – quelli che l’accusa indicava quali prestanome – avevano fatto per lui: operazioni che cioè aveva avvallato, condiviso e seguito. Per lui la Cassazione ha ora messo fine alle interpretazioni giuridiche.
Andrea Colombari