Guerra di carte bollate nella Croce Rossa

I giudici del lavoro negano il reintegro alla pedagogista, i cui esposti avevano portato alla radiazione dell’ex presidente Faccani

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Oltre al danno - messa ingiustamente in cassa integrazione a causa della ’mala gestio’ del vecchio presidente – la beffa, sancita da due tribunali, del mancato reintegro e di un probabile e imminente licenziamento. Nella Croce Rossa di Lugo continuano a volare gli stracci. E a farne le spese, oltre al buon nome dell’associazione, è la 47enne pedagogista il cui esposto aveva portato alla radiazione il 30 aprile scorso dell’ex presidente Roberto Faccani, già comandante della Polizia municipale. Se da un lato la Cri della Bassa Romagna aveva inizialmente confermato i motivi di lamentela della dipendente, riconoscendole gli emolumenti dovuti e il danno professionale patito, dall’altro le ha negato il rientro in servizio, resistendo ad esso anche in sede legale. La pedagogista è in cassa integrazione dal novembre 2020 e aveva vinto una prima causa di lavoro dopo essere venuta a conoscenza che la Croce Rossa, pur vantando importanti crediti nei confronti della Prefettura per l’attività di accoglienza dei migranti, nulla aveva fatto per incassare quelle somme, non emettendo le relative fatture. Il giudice del lavoro aveva così disposto il pignoramento presso la Prefettura delle somme che le spettavano. La dipendente aveva denunciato al Consiglio disciplinare dell’associazione anche una situazione di mobbing e atteggiamento vessatorio nei suoi confronti. Un mix esplosivo, che a fine aprile aveva portato il Collegio disciplinare nazionale a radiare dalla Croce Rossa il presidente Faccani, in ragione di una "mala gestio gravissima caratterizzata da negligenze reiterate e ingiustificabili (rendicontazioni tardive, mancati pagamenti ai fornitori, inadempienza degli obblighi verso Inps e Inail)", fatti che "hanno gravemente leso la Croce Rossa Italiana" mentre "emerge un operato che ha danneggiato economicamente e personalmente" la dipendente e socia.

Una volta commissariata, la sezione lughese è stata affidata al vicepresidente Luigi Farina. Ma da quel momento in poi, secondo il legale della dipendente, avvocato Pier Carlo Di Bari, la Cri si sarebbe fatta di nebbia, non rispondendo alle richieste di poter riprendere il servizio e lamentando una sorta di "muro di gomma" nei suoi confronti in quanto il nuovo direttivo avrebbe "continuato a negare qualsivoglia informazione alla dottoressa". Fino a quando le è stato comunicato che la cassa integrazione sarebbe terminata il 31 ottobre, con la prospettiva di un probabile licenziamento. Da qui la presentazione di un ricorso d’urgenza al giudice del lavoro. Secondo l’avvocato Di Bari, infatti, il provvedimento di ’cassa’ era "palesemente illegittimo" in quanto la Cri "non stava attraversando alcuna crisi gestionale, bensì vantava importanti crediti nei confronti della prefettura" e "nulla ha fatto per incassare quanto gli spettava" tanto che proprio quei fatti avevano portato alla radiazione del presidente. La Croce Rossa le ha invece comunicato la decisione di "soppressione della figura professionale di pedagogista" riconducendola all’impossibilità di reggere la gestione del Cas, il centro accoglienza immigrati di cui lei stessa era divenuta direttrice, sebbene dopo l’assunzione nel 2016, in ragione del dimezzamento degli ospiti e dei relativi introiti durante la pandemia. "Che il comitato durante la presidenza Faccani non sia stato gestito in maniera esemplare è di solare evidenza" scrive il legale della Cri, avvocato Ermenegildo Andrini, precisando che "tale mala gestio ha creato una situazione di crisi economica, cui non si poteva far fronte se non utilizzando l’ammortizzatore della cassa integrazione in deroga". Inoltre, precisa il legale, ricordando che la Cri di Lugo si regge quasi esclusivamente sul volontariato ed è intervenuta tempestivamente pagando gli arretrati alla dottoressa, "non è ammissibile che il dipendente possa sindacare le scelte datoriali". Il giudice del lavoro, monocratico prima poi in composizione collegiale, ha respinto il ricorso d’urgenza per il reintegro facendo leva su una "giurisprudenza consolidata" di Cassazione secondo cui "il lavoratore ingiustamente sospeso non ha diritto alla riammissione in servizio, ma solo al risarcimento del danno".

Lorenzo Priviato