
Roberto Saviano
A quasi 20 anni dal suo esordio con Gomorra - che ha fatto il giro del mondo, da cui sono stati tratti un film e una serie tv, ma che gli ha procurato minacce di morte e una vita sotto scorta - Roberto Saviano è tornato in libreria con ’L’amore mio non muore’. Il romanzo racconta la vicenda (vera) di Rossella Casini, ragazza poco più che ventenne che, il 22 febbraio 1981, sparisce nel nulla dopo essersi innamorata di un ragazzo di legato alla ’ndrangheta nel mezzo di una faida. Questa sera alle 21, l’appuntamento di ScrittuRa Festival al Pavaglione di Lugo dove dialogherà con Matteo Cavezzali.
Saviano, l’amore spaventa le mafie?
"L’amore spaventa le mafie nel momento in cui diventa uno strumento di insurrezione e opposizione alle loro pratiche. Rossella sfida un boss, gli chiede di fermare la faida perché sta mettendo in pericolo il suo amore: il massimo grado di ingenuità e la massima profondità. In quel caso sì, le mafie hanno paura dell’amore, e infatti la cancellano, la massacrano. La foto messa in copertina è l’unica prova del suo passaggio sulla terra".
In un’intervista ha detto che quello che l’ha stupita di Rossella Casini è il fatto che non sia fermata davanti a nulla. Lo ha fatto anche lei. Perché?
"Io, in realtà, rispetto a Rossella, ho probabilmente peccato di hybris, non c’è altro termine se non quello greco che indica quell’idea di sfidare il limite imposto dalla natura. Io l’ho sfidato con l’ambizione. Ho creduto che con le parole avrei abbattuto, trasformato, sfidato, fin quando non mi sono accorto che in realtà mi sono spezzato. E arenato".
È riuscito, almeno in parte, a cambiare le cose?
"Io, cambiare le cose? Non ho idea. Forse ho diffuso un po’ di coscienza in chi mi legge. Coscienza e un po’ di luce: quando me lo dicono sono molto grato".
Ne è valsa la pena?
"Distruggersi la vita per questo? Non so rispondere o, forse, sì".
A quasi 20 anni dall’uscita di Gomorra, i luoghi che lei raccontava nel libro, le Vele di Scampia, sono state sgomberate, molte già demolite o in procinto di esserlo. Ne rimarrà solo una. Che effetto le fa?
"La distruzione delle Vele non è una vittoria, non hanno alcuna colpa. È il contesto che le ha rese un simbolo di degrado. Erano ridotte male e non si potevano recuperare, però potevano essere trasformate. Hanno deciso di buttarle giù; mi sembra un tentativo di cancellare un passato e un contesto che però non si possono cancellare. Bisogna trasformare. Le cose hanno iniziato a cambiare, ma gli investimenti sul lavoro e sul territorio ancora non hanno sortito effetti. Napoli oggi è la città più armata d’Europa e ha bisogno di essere ancora raccontata".
Lei è stato attaccato, denunciato e portato a processo da alcune delle più alte cariche dello stato, Meloni, Salvini e l’ex ministro Sangiuliano. C’è ancora spazio per gli intellettuali critici verso il potere?
"Per l’intellettuale la vita è durissima, ma io ho iniziato a subire tutto questo molto tempo fa, quando gli altri erano convinti che fossi io il problema. Adesso, invece, colpiscono attori, scrittori: chiunque non si allinea paga un prezzo. E questo è un messaggio chiaro che dà il governo. Il messaggio è: "Io pago i film, i festival, e quindi ne decreto le idee". È una visione estorsiva. C’è ancora spazio per chi è disposto a pagare un prezzo importante per prenderselo".
Oggi, dopo le tante inchieste – da ’Doppia Curva’ su San Siro a ’Radici’ che ha interessato il nostro territorio – sulle infiltrazioni delle mafie nel Nord Italia, secondo lei, c’è piena consapevolezza del fenomeno?
"C’è stato un momento in cui il dibattito si era davvero aperto sulla presenza delle organizzazioni criminali al Nord, che ne è di fatto il loro centro. Oggi, tuttavia, il dibattito antimafia è scomparso. È rimasta solo la retorica del nemico. Sono riusciti a infiltrarsi ovunque: sistema turistico, cementificazione, rifiuti".
Lucia Bonatesta