Mia nonna Faustina, morta a un tiro di sasso dai cent’anni, aveva problemi di pressione. O meglio, il medico l’aveva informata che siccome la sua pressione era intorno ai 220 doveva cercare di abbassarla per evitare complicazioni ma lei non se ne curava affatto tant’è che a fine pasti sorbiva il caffè (e café negar, da non confondersi con e cafelat) corretto con la grappa e a chi le faceva notare che il suo era un comportamento non condiviso dai medici lei rispondeva che i dutur in capess gnit. Del resto la medicina ufficiale è sempre stata vista con una certa diffidenza dal popolino che preferiva ricorrere a metodi non sempre ortodossi. In anni lontani ricordo che vedevo gente con il bambagio nelle orecchie, usanza oggi del tutto scomparsa, forse per evitare guai all’udito e quel bambagio sicuramente non era stato prescritto da nessun otorino.
Ricordo anche che una mia compagna delle scuole elementari aveva legato attorno a un dito mignolo uno spago e la legatura era talmente stretta che l’estremità del dito era diventata paonazza. Per sua fortuna, durante una ispezione, l’ispettrice sanitaria la obbligò a togliersi quel laccio che, secondo una convinzione non certo condivisa dalla medicina ufficiale, la avrebbe preservata dall’inconveniente del sangue al naso! Era vecchia usanza, inoltre, nella stagione fredda, portare in tasca una castagna “matta” perché, a detta dei vecchi, avrebbe scongiurato il raffreddore. Una volta il dottor Gaspare Randi (Gasparì), medico dell’ospedale quando il nosocomio era in fondo a via Nino Bixio, raccontò a mio padre Guido, suo amico d’infanzia, che una volta un vecchietto ricoverato si recò da lui per chiedergli il permesso di andare da Zambuten, l’erborista che a Ravenna godeva di una certa fama per l’efficacia di certi suoi “bocconi” di erbe (i pcon) che venivano deglutiti dopo averli chiusi dentro a un’ostia! E Gasparì gli dette il permesso! Zambuten, che si chiamava Achille Rotondi, era nato a Bagnacavallo centocinquant’anni fa, nel settembre del 1873, e morì a Ravenna nel febbraio del 1965. Abitava fuori Porta Serrata, all’inizio di via Sant’Alberto, e per raggiungere casa sua occorreva imboccare una lunga discesa che correva parallelo alla strada. E dietro casa aveva l’orto dove coltivava le sue erbe. Parlava solo il dialetto e portava sempre il cappello in testa. Visitava come i dottori veri e il suo onorario era un bonario “Damm quel ch’t pu”. Credeva nelle potenzialità della natura e più che con i pcon curava le persone con il calore umano.
Franco Gàbici