Il forno regalato ai calabresi da un faentino

L’imprenditore cedette l’attività di Imola, con sede legale a Bagnacavallo, a costo zero. Nel 2021 il fallimento con un buco dal 835mila euro

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Non solo a Cervia. C’è anche un’attività commerciale di Imola, con sede legale a Bagnacavallo, e in origine di proprietà di un imprenditore faentino, tra quelle finite nel mirino – secondo la Dda di Bologna – dei clan calabresi della ’ndrangheta oggetto di un’operazione che ha portato a 34 soggetti indagati con 23 misure cautelari, di cui 4 in carcere, 3 ai domiciliari e per i restanti a obblighi di dimora. La vicenda della gestione societaria del Forno Imolese, unitamente a quella della Dolciaria Italiana di Cervia, viene definita dagli investigatori confusa e opaca. Entrambe le attività finirono per essere intestate a prestanome, ma di fatto amministrate dai vertici dell’organizzazione tramite la Fp Group con sede a Reggio Emilia: in particolare Francesco Patamia che tra 2019 e 2020, volendo entrare in politica fondando un partito laico-liberale, si vide costretto a sbarazzarsi di società indebitate senza poterle chiudere (la polizia monitorò frequenti contatti con un avvocato di Ravenna, estraneo alle accuse) facendo subentrare il ’cervese’ Gaetano Serra nella gestione delle attività. La contestata associazione per delinquere aveva appunto lo scopo di favorire l’inserimento nel tessuto economico finanziario del ricco territorio emiliano romagnolo attraverso l’accaparramento, la gestione e successiva messa in fallimento, previa distrazione delle risorse, delle varie società.

Il Forno Imolese viene dichiarato fallito dal tribunale di Ravenna nel novembre 2021. In origine apparteneva a un imprenditore faentino. Dal maggio 2017 lo aveva intestato ai figli cui voleva garantire un futuro, ma affidato a un legale rappresentante ritenuto dal Pm "sprovvisto di competenze specifiche nel settore della panificazione". "Non volevo gravare sui miei figli – ha detto l’imprenditore faentino, ma la scelta del legale rappresentante (in carica fino all’aprile 2018) fu errata perché non si è dimostrato capace". Viste le difficoltà in cui si trovava l’azienda, decise di venderla "in quanto si dovevano investire dei capitali al fine di ottenere le necessarie autorizzazioni dall’Asl. Un conoscente fece sapere all’imprenditore "che vi erano persone interessate a subentrare nel Forno ed erano della Calabria".

Il Forno fu di fatto regalato ai calabresi: "L’acquisto delle quote avvenne a costo zero in quanto eravamo intenzionati a uscire da questa avventura imprenditoriale". Per l’imprenditore l’amministratore delegato era informato di ciò, anzi avrebbe subito un’aggressione fisica dai ’calabresi’ in quanto si sarebbe auto liquidato, prelevando tutto quello che c’era nei conti correnti societari, circa 10mila euro. La trattativa fu fatta con due uomini e la figlia di uno di questi.

L’amministratore delegato, originario di Caserta (estraneo all’inchiesta), fornì agli uomini del Gico una versione un po’ diversa. Disse che una mattina, recandosi al Forno, trovò un uomo che lo aggredì e sporse denuncia ai carabinieri: "Una mattina di aprile 2018 venni informato da una dipendente che l’amministratore era cambiato e nel recarmi nel mio ufficio trovai una persona che non conoscevo e senza dirmi nulla mi aggredì dopo avermi detto ’mi hai portato i soldi? Ma non sono in grado di spiegare le ragioni di questa richiesta".

Da aprile 2018 il Forno di Imola-Bagnacavallo era nelle mani dei calabresi, gestito da una testa di legno (Giuseppe Vivona) ma di fatto controllato dai vertici dell’organizzazione, prima Patamia dal luglio all’ottobre 2019, poi da Serra, ma con gestore di fatto tale Antonino Carnovale. Fino a quando si arrivò al fallimento, pilotato per l’accusa, del novembre 2021, con una distrazione di 835mila euro. Tra le parti offese dell’indagine figura anche la curatela fallimentare, per la quale è stato impossibile risalire alle cause del dissesto ed analizzare l’andamento aziendale, per mancanza dei dati contabili di quattro su cinque anni di attività societaria.

Tornando a Cervia, qui Gaetano Serra aveva messo gli occhi su una ulteriore società, una pasticceria di Milano Marittima, ma in quel caso l’affare non era andato in porto.

l. p.