Il futuro del Sigarone Il Consiglio di Stato: "Le demolizioni parziali sono legittime"

Da respingere il ricorso straordinario al presidente della Repubblica, proposto da Italia Nostra e dall’ex consigliere comunale. Francesca Santarella sul suggestivo edificio della Darsena.

Il futuro del Sigarone  Il Consiglio di Stato:  "Le demolizioni parziali  sono legittime"
Il futuro del Sigarone Il Consiglio di Stato: "Le demolizioni parziali sono legittime"

Già nella relazione storico-artistica del 2012 si dava atto di “uno stato di rovina e abbandono” del Sigarone che comportava “la necessità di interventi di recupero e di nuova destinazione d’uso” senza escludere eventuali demolizioni, peraltro “circoscritte al minimo” dalla Commissione regionale. E in quanto alla Soprintendenza ai beni culturali, i suoi atti “sono sindacabili dal giudice amministrativo per vizi di legittimità ma non di merito”. Come dire che non ci può essere controllo sulle “valutazioni tecniche”. In definitiva il parere che il consiglio di Stato ha appena espresso, è che vada respinto il ricorso straordinario al presidente della Repubblica proposto dalla onlus Italia Nostra e dall’ex consigliere comunale Francesca Santarella sul celeberrimo edificio della Darsena. La questione era stata sollevata nell’aprile 2017 quando onlus e Santarella avevano impugnato il provvedimento con cui la Soprintendenza aveva autorizzato il progetto della Corsini srl di recupero del magazzino ex Sir, il Sigarone appunto. All’indice ci era finita pure la delibera di autorizzazione alla parziale demolizione arrivata nel giugno 2016 dalla Commissione per il patrimonio culturale regionale chiamata a esprimersi perché il magazzino in questione è un edificio di un certo pregio, come tale dichiarato nel novembre 2012 dalla Soprintendenza “di interesse particolarmente importante”.

Realizzato nel 1956-’57 per conto della ‘Società interconsorziale romagnola’, era stato destinato a suo tempo a deposito di fertilizzanti. In tempi più recenti era arrivata la fatiscenza; era stato pure colonizzato da extracomunitari che avevano vissuto là dentro in precarie condizioni igieniche finché gli ingressi non erano stati murati. Di sicuro rappresenta una testimonianza di archeologia industriale di imponenti proporzioni – hanno scritto i giudici –: largo 30 metri e lungo 175, sorretto da 34 archi parabolici in cemento armato di soli 30 centimetri di spessore. È stato costruito con una tecnica comune a solo un centinaio di edifici dello stesso tipo in Italia. Un luogo da maneggiare con cura insomma. Secondo Italia Nostra, il progetto autorizzato dalla Soprintendenza consentirebbe al proprietario la demolizione di due testate e delle pareti laterali per un totale di circa 300 metri quadri di superficie coperta e 4.000 metri cubi di volume: ovvero “la perdita delle caratteristiche architettoniche dell’edificio e la modifica della sua natura da spazio chiuso ad aperto o semi-aperto”. Per il consiglio di Stato tuttavia le valutazioni circa le demolizioni espresse dalla Commissione regionale, “appaiono coerenti con la previsione di tutela del bene nella sua interezza” tanto che già l’atto del 2012 con il quale era stato dichiarato “bene di importanza culturale, non ha escluso l’eventualità di parziali demolizioni a causa dello stato oggettivo di irreversibile degrado e inagibilità di alcune parti”. Ma al di là della possibilità di demolire a tutela del bene – concetto che secondo i giudici romani era già stato espresso in una sentenza del 2016 del Tar di Bologna –, resta pur sempre l’obbligo della proprietà a “precisare nel dettaglio le modalità di esecuzione degli interventi” peraltro “da concordare preventivamente”. Sul punto, “la Soprintendenza ha imposto precise e varie condizioni: e per quanto opinabili, le sue scelte non appaiono viziate da illogicità né da errori di istruttoria”.

Andrea Colombari