Il Mic di Faenza rende omaggio a Nino Caruso

Il museo celebra fino al 9 ottobre un protagonista della storia della ceramica con la prima antologica a lui dedicata dopo la sua morte

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Eredità d’Etruria: sono senz’altro le opere da cui più traspare il lascito artistico del popolo che vive attraverso la necropoli di Cerveteri quelle più seducenti all’interno della mostra "Nino Caruso. Forme della memoria e dello spazio", al via oggi al Museo internazionale delle Ceramiche di Faenza: cento opere che spaziano dal design alla scultura in ferro, con un cuore ancora grondante delle forme perdutamente classiche.

Ceramiche come ‘La casa degli sposi’, la cui figura pulsa almeno quanto quelle della coppia avvolta nell’eterno abbraccio del sarcofago proveniente da Cerveteri e conservato a Villa Giulia, a Roma, icona di una civiltà che si pone agli albori dell’Occidente e che pure già si misurava con quella materia viva che contiene al suo interno tutte le domande possibili circa la vita e la morte, l’amore, gli dei e gli uomini. Erano un uomo e una dea Orfeo ed Euridice, che Caruso ritrae come sezioni speculari di un’anfora, laceranti nel loro dolorosissimo, ultimo sfiorarsi. All’inaugurazione dell’antologica, curata dalla direttrice del Mic Claudia Casali e dal curatore del Momak di Kyoto Tomohiro Daicho, erano presenti i figli di Nino Caruso, che hanno ricordato le traversie che condussero il padre alla ceramica – incontrata a Roma alla corte di Salvatore Meli, Leoncillo e Guttuso, solo dopo l’espulsione dalla Libia inflittagli quale ritorsione alla sua militanza tra le fila del movimento operaio – e l’impegno lungo un’intera vita in difesa di quella forma d’arte: dalla fondazione del Centro internazionale di ceramica all’attività di divulgatore ai microfoni della Rai, fino al rifiuto opposto alla Galleria nazionale d’arte moderna, che a Caruso avrebbe voluto dedicare una personale, a cui lui preferì dare i contorni di una collettiva con la presenza di più di cento artisti, in nome di quel legame naturale e superiore che univa la ceramica del mondo. "Un frequentatore delle civiltà ceramiche" – come l’hanno definito il sindaco Massimo Isola e l’assessore regionale alla cultura Mauro Felicori – impegnato quale ponte fra l’Occidente e l’Oriente anche in ragione dei suoi natali a Tripoli, in Libia, all’origine della sua fascinazione per le civiltà del Mediterraneo.

Come Selinunte, Segesta, Petra, Palmira – rievocate in erme, steli, colonne, oltre che negli altorilievi a elementi modulari – ma in particolare quella greca ed etrusca, alla radice di alcune delle sue ceramiche più iconiche, quali le ‘Menadi’, la ‘Nike’ o l’elmo de ’L’etrusco’, e prima ancora della serie arcaica in cui spiccano vasi dalle forme antropomorfe che addosso sembrano quasi portare ancora l’impronta del neolitico: furono le prime ceramiche ad approdare in Giappone, nel 1964, per una mostra dal profilo internazionale, tracciando una rotta tra due mondi che, come accadde tremila anni fa sul Mediterraneo, stavano già diventando uno.

Filippo Donati