Una questione di percentuali che però si traduce in soldi. Da una parte la Caviro Extra spa, circular company di Faenza che - si legge nel sito dedicato - recupera e valorizza gli scarti delle filiere vitivinicole e agroalimentari per ottenere energia e prodotti nobili 100% bio-based. E dall’altra il Gse spa, gestore dei servizi energetici: ovvero una società per azioni nata nel 1999, interamente partecipata dal ministero dell’Economia e delle Finanze e alla quale spetta l’incarico di promozione e sviluppo delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica. Nel mezzo, la conversione di un impianto: quello biogas di via Convertite: dalla produzione di energia elettrica a quella di biometano con partenza dal primo aprile 2019. Gse a fine ottobre 2018 aveva detto sì, stabilendo però che all’impianto riconvertito sarebbe stato riconosciuto il 70% dell’incentivo spettante all’analogo nuovo impianto. Troppo poco secondo Caviro Extra. E il Tar del Lazio, con sentenza depositata nel giorni scorsi, le ha dato ragione: il ricorso è fondato e Gse dovrà rimettere mano alla decisione.
Tuttavia in quanto ai danni patiti, così come aveva chiesto Caviro Extra, niente da fare: "Il Consiglio di Stato ha chiarito che l’accoglimento del ricorso non comporta il riconoscimento del danno se, a seguito dell’annullamento degli atti", si ottiene la "rinnovazione del procedimento".
La querelle amministrativa era scattata perché la spa manfreda, nell’annullare la riconversione totale del suo impianto, aveva chiesto l’incentivazione prevista da un apposito decreto ministeriale del marzo 2008. Il Gse aveva detto sì alla richiesta, calmierando però gli incentivi al 70% dato che "l’impianto di produzione di energia elettrica, verrà riconvertito alla produzione di biometano meno di due anni prima del periodo di incentivazione" previsto per inizio luglio 2020. Una interpretazione del decreto ministeriale che non aveva affatto convinto Caviro Extra: ovvero provvedimento illegittimo - secondo la spa faentina - in relazione appunto alla percentuale di riconoscimento dell’incentivo: convinta insomma di avere diritto alla quota totale proprio alla luce del decreto ministeriale. "Disparità di trattamento, irragionevolezza, illogicità e ingiustizia manifesta, sviamento, falsa applicazione e incompetenza", si legge tra le altre cose nel ricorso.
Da parte sua Gse aveva tenuto il punto attraverso specifiche memorie difensive. Il collegio romano, presieduto dal giudice Elena Stanizzi, dopo avere esaminato le norme vergate in materia, ha sottolineato che "il Gse non aveva il potere di regolare situazioni diverse rispetto al quelle previste dal "decreto ministeriale". Nel nostro caso, erano passati meno di due anni "tra l’entrata in esercizio dell’impianto riconvertito e la cessazione della percezione degli incentivi" riconosciuti in precedenza. In generale, "l’eventuale contrasto tra linee guida del Gse e il decreto ministeriale deve essere risolto a favore di quest’ultimo", tanto più che la commissione europea nel 2018 "lo aveva "ritenuto compatibile con il mercato interno" senza sollevare obbiezioni.
a.col.