Il pittore Marino Trioschi "Arte, i favolosi anni Sessanta, un mondo irripetibile"

Un’epoca che fu fucina di grandi maestri. "Erano tantissime le occasioni d’incontro, basta pensare alle mostre estemporanee che si tenevano in paesi e città" .

Il pittore Marino Trioschi  "Arte, i favolosi anni Sessanta,  un mondo irripetibile"

Il pittore Marino Trioschi "Arte, i favolosi anni Sessanta, un mondo irripetibile"

di Carlo Raggi

Istituite agli inizi del ‘900 per insegnare ai muratori, ai falegnami, che di disegno dovevano intendersi, negli anni ’50 e ’60 le scuole di disegno nei piccoli centri sono state fucina di artisti della matita e del pennello. Ben poche oggi sopravvivono (ricordiamo quelle di Faenza e Bagnacavallo) e anche l’elenco dei grandi nomi di maestri e di discepoli di estro si è andato con gli anni sempre più assottigliando. Il pittore Marino Trioschi è uno dei pochissimi testimoni di quel mondo ormai evaporato e non più replicabile, mancano personaggi, spirito, soprattutto mancano le occasioni d’incontro culturale, quello che all’epoca ancora si chiamava cenacolo e che annoverava pittori del calibro di Verlicchi, Ruffini, Giangrandi, Zancanaro e tanti altri e il ritrovo a Ravenna era alla prestigiosa galleria ‘La Bottega’ e a casa dell’avvocato Maldini dove molti artisti convergevano anche dal Lughese. Favolosi anni Sessanta, anche per l’arte. "Un mondo irripetibile che ruotava attorno a occasioni d’incontro, pensi solo alle estemporanee che si tenevano in paesi e città e dove ci si ritrovava spessissimo, e poi c’era l’abitazione dell’avvocato Franco Maldini la cui moglie, Maria Pia Parrotta, dipingeva e poi le gallerie d’arte, soprattutto ‘La Bottega’…"

Che poi era la bottega dello stampatore e incisore Giuseppe Maestri, trasformata in galleria nel ’65…

"Maestri era un grande stampatore. Ad esempio Tono Zancanaro, che negli anni 70 era docente all’Accademia di Belle Arti, andava lì a stampare le sue incisioni. Ecco, ‘La Bottega’ cominciò subito a diventare un punto di incontro di molti artisti non solo di Ravenna, molti venivano dal Lughese, come Umberto Folli, Giulio Avveduti, io stesso, da Fusignano. E poi non dimentichiamo che la galleria divenne la vetrina ravennate per grandi nomi come Carrà, Guttuso, Sassu, Moreni che esponevano lì le proprie opere".

E l’abitazione di Maldini?

"Era un po’ la sede di quello che si può ben definire un vero e proprio cenacolo. Ci si trovava a La Bottega poi si andava a cena da Maldini, si parlava, ci si confrontava e si ballava anche. Oltre a me c’erano Gianni Strada, Francesco Verlicchi, che era stato anche mio maestro, Giulio Ruffini, Ferriano Giardini, che era del gruppo di Magnavacchi, lo scultore Giannantonio Bucci, Guido Onofri, la pittrice Lina Prato che era la moglie del procuratore Ricciuti e poi c’erano anche studenti dell’Accademia, alcuni stranieri…ah, veniva anche Claudio Spadoni che poi dell’Accademia fu direttore".

C’era anche Gaetano Giangrandi?

"No. Ci conoscevamo bene, io andavo nel suo studio in via Cavour, ma nel gruppo non godeva di particolare apprezzamento. Un altro grande maestro era il mosaicista Sergio Cicognani".

Molti di voi del cenacolo venivate dal Lughese, Fusignano, Bagnacavallo, Massa Lombarda. Terra prolifica di artisti…

"Merito delle scuole Arte e Mestieri del primo Novecento, istituite per insegnare a falegnami e a muratori per i quali era necessario saper tenere bene la matita in mano per fabbricare mobili o disegnare un arco in muratura, poi diventate scuole comunali di disegno. A Fusignano il direttore era Verlicchi. Non è più operativa da 30 anni. Altra ottima scuola a Bagnacavallo".

Disegnava fin da bambino?

"Oh sì. Tanto che il maestro aveva chiamato Verlicchi per dirgli che in classe c’erano tre bambini che ci sapevano fare. Verlicchi mi invitò alla scuola di disegno e ci andai per un anno, alla domenica mattina, lui mi faceva fare carboncino e acquerello, ma io volevo dipingere. Finite le medie, per due anni ho lavorato in campagna col babbo, poi a 15 anni sono andato al calzaturificio Gaviga, iniziava il boom delle scarpe, poi ho cominciato con i progetti di case per un geometra e il parroco di San Savino, don Carlo Marcucci, mi incaricò di disegnare le scenografie per le commedie nel teatro parrocchiale. A 20 anni fui assunto in Comune all’ufficio tecnico. E un altro parroco segnò il mio destino da pittore".

Cosa accadde?

"Che il successore di don Marcucci venendo a casa nostra a benedire gli animali, si accorse dei miei acquerelli e mi commissionò un battesimo di Cristo da mettere in chiesa a Fusignano. Venne con i colori a olio, i pennelli, un compensato. E io con l’incoscienza della gioventù dipinsi. Il vescovo ne fu entusiasta e con quei colori cominciai a dipingere e pochi mesi dopo alla mostra organizzata dall’arciprete vinsi il primo premio ex aequo con Sante Venturi. E in giuria c’era Verlicchi! Fra i pittori c’erano Ido Silvagni, morto nel 2009, Bruno Montanari, Aldo Taroni, Alessandro Venturi".

Negli anni 60 c’era anche il boom delle estemporanee, una bella palestra…

"Infatti, ce n’erano in ogni paese e città. La più rinomata era il concorso di Marina di Ravenna ideato dallo scultore Walter Magnavacchi, con grossi nomi in giuria, poi c’erano a Casola, a Riolo, a Lugo, a Faenza e in altre regioni. Era un modo per conoscersi fra pittori, incontrarci, fu così che conobbi i ravennati Strada, Onofri, Giardini, Vittorio Basigli, Ruffini e poi Folli, spesso in giuria. E poi c’era sempre Verlicchi con cui confrontarsi".

Che era anche docente all’Istituto d’arte per il Mosaico…

"Era rigoroso, gli facevo vedere i quadri, c’era sempre qualcosa che non andava. ‘Dipingi con la tua testa, non con quella degli altri’: che insegnamento!"

Lei poi si iscrisse all’Accademia di Belle Arti a Ravenna?

"Ai corsi liberi di incisione e lì incontrai Tono Zancanaro, uno dei docenti. Diventammo amici, fu lui a presentarmi alla mostra di incisioni al Chiostro di San Romano, anni ’70, a Ferrara".

Quali i suoi soggetti preferiti? "Paesaggi e nature morte, quante discussioni con Verlicchi…cui diedi una mano alla scuola di disegno a Fusignano, poi dagli anni 80 ho affrontato il figurativo, angosciato per il futuro del pianeta, l’inquinamento, la trasformazione ambientale. Di qui i miei cieli neri, le maschere antigas. Una pittura di denuncia, perché, sostenevo allora, la pittura non è un passatempo…A stimolare il mio pensiero, la mia preoccupazione fu un tecnico che venne a proporre al Comune i sistemi anti inquinamento: ‘Se si continua così, fra trent’anni non si farà più il bagno in mare’. Ancora oggi i miei paesaggi risentono di queste visioni, purtroppo sempre incombenti!"