Faenza (Ravenna), 21 novembre 2023 – Quarant’anni sulle tavole degli italiani, attraversando evoluzioni di costumi, gusti e consumi del vino.
Eppure il rivoluzionario brick del Tavernello, nato nel 1983 da un’idea della Corovin di Faenza (poi divenuta il colosso cooperativo Caviro), è sempre lì, con pochissimi cambiamenti, più che altro nella grafica. È oggi il marchio italiano più commercializzato al mondo. Una vera icona del marketing nazionale, divenuta sinonimo di vino quotidiano ma anche, non sempre con toni lusinghieri, di vino economico.
Il vino in cartone
Eppure l’amore dei consumatori per il vino in cartone non è mai venuto meno. Oggi se ne producono cento milioni di litri all’anno, il marchio è fra i dieci più importanti al mondo, e la ricerca enologica ha creato un vino ovviamente senza alcuna complessità ma molto gradevole, a detta degli stessi esperti, apparsi negli anni scorsi anche in uno spot del Tavernello: c’erano nomi noti fra gli appassionati come Luca Gardini, Alessandro Pipero e Andrea Gori che invitavano a non ‘bere l’etichetta’, ma quello che c’è nel bicchiere.
La storia
La storia della nascita del Tavernello è sorprendente: come diverse invenzioni rivoluzionarie (dal cibo in scatola a internet), è nato, infatti, da un progetto militare. O, meglio, da una richiesta arrivata nel 1979 dall’esercito al consorzio Corovin, che ne era un importante fornitore. Al tempo c’era la leva obbligatoria e la quantità di vino utilizzata a livello nazionale nelle mense era ingente. I militari chiedevano pertanto contenitori infrangibili e più semplici da gestire dal punto di vista logistico. Corovin si rivolse all’azienda svedese Tetra Pak che incaricò della realizzazione un team di ricerca e sviluppo composto da 50 ingegneri a Malmö. Agli incontri partecipò l’enologo Giordano Zinzani: "Sempre con l’aiuto di Tetra Pak, dopo una prima prova fatta a fine 1979 nella loro sede di Modena, si decise di ripetere un confezionamento in modo più scientifico, per confrontare il vino confezionato in contenitori alternativi con lo stesso vino imbottigliato in vetro. Per dare ufficialità a queste prove ci appoggiammo al professore Amati della facoltà di Industrie Agrarie all’Università di Bologna".
Rivoluzione o disastro
Nel 1983 il vino in brick era pronto. Però era passato del tempo e l’esercito non era più interessato, così si decise di lanciarlo direttamente sul mercato. Poteva essere una rivoluzione o un disastro. "Eravamo consapevoli che ci sarebbero state critiche al contenitore – dice Zinzani –, quindi dovevamo presentarci al meglio, con un vino di qualità". Per questo nel contenitore venne venduto un vino bianco e rosso di qualità paragonabile a un vino doc in bottiglia. Fu un successo commerciale immediato. Fondamentale anche l’investimento pubblicitario con 600 milioni di lire per gli spot sulle reti Fininvest: colmò un vuoto, perché in televisione il vino mancava da decenni. Nel 1984, anno in cui la Corovin si fuse con Caviro, il tavernello venne lanciato anche in Germania e Usa. E anche la Caviro cominciò a espandersi e a guardare oltre la Romagna. Oggi è un colosso che conta 11.650 soci e 37.300 ettari coltivati a vite in sette regioni.