Inconfondibile ’magiò’ Una storia tutta ravennate

Il gioco del mah jong qui ha trovato casa. Arrivò dalla Cina lungo le rotte portuali e attecchì grazie alle tessere di Valvassori. Due giorni al Mercato Coperto per riviverlo

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di Carlo Raggi

Era inconfondibile, quando si entrava nei caffè, il suono delle tavolette (in avorio le più pregiate) del mah jong (dialettizzato si pronuncia magiò) quando venivano mescolate, faccia in giù, aiutandosi con la stecca in legno dove quelle ‘tessere’ venivano risistemate per la successiva partita. E poi il grido, inconfondibile ‘me, magiò’, per dire che la tavoletta scartata da altri a lui serviva per vincere! Gioco veloce, sui tavoli ricoperti dal panno verde, quattro giocatori, sigaretta all’angolo della bocca, tanti appassionati intorno a commentare. Un gioco, come molti altri, trasversale, dall’operaio al professionista e una posta non da poco, anche cinque lire al punto. Così, alla fine dei molti giri, minimo un’ora, in quelle sale zeppe di fumo, appena pranzato e prima del rientro al lavoro, o alla sera, c’era chi portava a casa un bel gruzzolo. Diversi i locali in centro in cui il gioco del mah jong era di casa: tanto per citarne alcuni, il bar Belli in via Ponte Marino, l’American Bar di via Guidone, i caffè Roma e Nazionale in piazza del Popolo, il bar Moderno, in piazza dei Caduti. Per non parlare dei circoli dei partiti: le Case del Popolo repubblicane, soprattutto, ma anche qualche circolo del Pci, della Dc. Un gioco fatto di astuzia, intelligenza e pizzichi di fortuna. E tanto per non cambiare ci fu chi imbastì indagini sul fatto che mah jong volesse dire gioco d’azzardo: tanto per non cambiare, si diceva, dato che negli stessi anni, gli ultimi tre decenni del secolo scorso, qualcuno provò a mettere sotto accusa anche il marafon-beccaccino! Storie, vicende, passatempi, atmosfere d’altra epoca: su tutto, il sipario è sceso a fine anni Novanta quando è iniziata la trasformazione dei caffè, fuori gli attempati clienti abituali e dentro i giovani, via il gioco e dentro gli aperitivi.

Contemporaneamente si sono chiusi i circoli per la dissolvenza dei partiti. Ma il mah jong è rimasto, anche perché era già stato portato sulle piazze per serali tornei estivi, centinaia di giocatori, in piazza Garibaldi, in piazza San Francesco, in riviera, ricordo una ventiquattro ore di questo gioco cinese a Punta Marina nel settembre del 1985. Ma un conto era l’atmosfera del caffè, altro è il torneo all’aperto e infatti, una volta trasformati i caffè, col nuovo secolo anche il mah jong, così come per decenni dal dopoguerra era stato conosciuto, è evaporato, da gioco (quasi) di massa si è fatto gioco di elite (a solo titolo di cronaca è appena il caso di annotare che da qualche tempo a questa parte c’è anche l’immancabile versione on line!): certo, sono nate le Federazioni, addirittura ci sono i campionati nazionali e mondiali, ma è altra cosa. E’ l’atmosfera del caffè e quel suono delle tavolette, che non ci sono più e questo fa la differenza. L’evaporazione riguarda anche Faenza, dove pure era radicatissimo e in alta collina, a Casola e Riolo dove era comparso grazie a chi, a fine anni 50, venne a lavorare all’Anic. Fra i giochi più diffusi a livello mondiale, le origini del ‘magiò’ sono insondabili e vengono collocate nel sesto secolo avanti Cristo al tempo in cui Confucio era in vita: esportato dalla Cina lungo le rotte del commercio navale a partire dal primo Novecento, approdò in Giappone, negli Stati Uniti e da ultimo in Europa. E fra le città portuali, Ravenna è stata quella in cui più che altrove ha attecchito e si è diffuso. Propulsore fu la famiglia Valvassori. Furono loro, nel dopoguerra, primi e unici in Italia, a produrre le tavolette del mah jong.

Lo ricorda la nipote Vanessa, protagonista peraltro del docufilm girato a Ravenna ‘Il Drago di Romagna’ presentato il 25 gennaio del 2020 al Jolly. Il capostipite, Ludovico Valvassori, era un ebanista che aveva il laboratorio in via Matteucci. Fu lui, assieme al figlio Michele ad avere l’idea, vedendo gruppetti di cinesi, marittimi in libera uscita, che sotto il portico di via Corrado Ricci vendevano cravatte e fra di loro giocavano con quadretti di avorio tutti variopinti. A Ravenna è ancora vivo il ricordo del negozio di Valvassori, proprio all’angolo fra via Matteucci e via Girolamo Rossi, nelle cui vetrine comparivano vere e proprie opere d’arte, le tessere del mah jong incise in tante forme diverse. Va da sé che proprio la curiosità dei ravennati per quelle tavolette che i cinesi muovevano in modo velocissimo, l’immediata possibilità di imitarli perché gli stessi cinesi erano disposti a venderle assieme alle cravatte e la produzione subito avviata da Valvassori sono stati il motore per la esponenziale diffusione del gioco.