Lugo, infermiera assolta. "La perizia non chiarisce le cause della morte della paziente"

Il procuratore di Bologna in visita a Ravenna: "Non lasceremo nulla di intentato"

IL PROCURATORE Ignazio De Francisci

IL PROCURATORE Ignazio De Francisci

Ravenna, 18 luglio 2017 - Una visita di cortesia, partita con un saluto a pubblici ministeri e dipendenti della Procura. Poi la riunione di lavoro col padrone di casa, il procuratore capo Alessandro Mancini. Ha fatto tappa ieri mattina, intorno a mezzogiorno, il procuratore generale di Bologna Ignazio De Francisci. Tanti gli argomeni sul tavolo. Ma uno in particolare deve avere catalizzato argomenti ed energie dei due magistrati, il caso Poggiali. Condannata in primo grado a Ravenna e assolta in appello a Bologna, l’infermiera lughese era accusata di una morte sospetta in corsia con iniezione letale di potassio. Anzitutto De Francisci ci tiene a sottolineare un aspetto. La frase della collega Luciana Cicerchia, durante la requisitoria in cui in appello chiedeva la conferma dell’ergastolo – «io francamente non l’ho capito come è morta Rosa Calderoni» – va calata nel giusto contesto.

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«La collega Cicerchia non ha detto che non sa come è morta la Calderoni – precisa De Francisci –, ma che dalla perizia non si capisce come è morta». La chiave di lettura che ne era derivata, cioè un presunto paradosso – da un lato non si sa come è morta, dall’altro si chiede la condanna –, e che la difesa Poggiali aveva fatto propria, sarebbe insomma «una bufala». Dunque è la perizia disposta dalla corte d’assise d’appello nel mirino dell’accusa bolognese, della quale «non si condividevano le risultanze».

Quella perizia che da un lato ha detto che non esiste la prova del potassio killer, dall’altro che l’anziana non era morta per cause naturali. E che dunque sembra essere destinata a fare discutere e ad essere verosimilmente oggetto di duro scontro anche in Corte di Cassazione. Davanti alla quale, è molto probabile, la procura bolognese intende impugnare la sentenza di assoluzione, per riaprire la partita. De Francisci non entra nel merito – «le sentenze si accettano, prima leggiamo le motivazioni» –, ma precisa anche che «non lasceremo nulla di intentato».

Una frase che lascia intendere una volontà decisa di arrivare a un terzo grado di giudizio. E a Roma gli scenari saranno molteplici. La Cassazione potrebbe confermare la sentenza assolutoria, e in quel caso la Poggiali sarebbe definitivamente libera. Oppure chiedere alla corte d’appello di Bologna di rifare il processo –– successe così per il caso Cantini, la donna morta nel pozzo a Passogatto di Lugo, dove ci fu un ribaltone: da assolto a condannato –. Mentre più difficilmente (ma non inverosimile, successe con Sollecito) potrà ‘cassare’, eliminare in modo secco la sentenza di assoluzione e far passare in giudicato quella di condanna per l’infermiera. La quale è intanto attesa dalle forche caudine di altre grane e procedimenti. A partire dalla convocazione presso il collegio Ipasvi per valutare – alla luce delle famigerate foto con una paziente deceduta – se potrà o meno indossare ancora un camice bianco.

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