Infortunio mortale al porto: "La vittima contribuì in larga misura"

Per il giudice prese l’iniziativa di attraversare il piazzale Setramar in una zona non consentita, adottando una condotta fortemente imprudente: "Al tempo era prassi deprecabile dei camionisti"

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Quel camionista, "disattendendo le direttive impartite all’accesso al terminal, aveva iniziato ad attraversare a piedi il piazzale in un punto non consentito". Un infortunio sul lavoro, quello accaduto il 13 aprile 2017 sul piazzale della Setramar, al cui esito mortale aveva insomma contribuito in larga misura la vittima stessa, il 43enne autotrasportatore bergamasco Fabio Cristinelli.

È quanto emerso dalle motivazioni, depositate di recente, della sentenza con cui il primo marzo scorso il giudice Andrea Chibelli aveva assolto entrambi gli imputati "perché il fatto non costituisce reato". Ovvero l’uomo che alla guida di un grosso carrello elevatore aveva investito il camionista mentre stava trasportando un’enorme bobina d’acciaio (si tratta di un 46enne di Fusignano difeso dagli avvocati Danilo Manfredi e Samuele De Luca). E il legale rappresentante della Cofari – un 63enne di Ravenna difeso dall’avvocato Albert Pepe –, cooperativa per conto della quale operava il 46enne. Un terzo imputato, che aveva scelto il rito abbreviato, era stato condannato il 29 settembre 2020 dal gup Janos Barlotti a 10 mesi di reclusione (con pena sospesa). Si tratta di un 41enne delegato alla sicurezza per la Setramar difeso dagli avvocati Ermanno Cicognani e Mauro Cellarosi: per lui si è in attesa di appello.

Secondo quanto ricostruito dalle verifiche di polizia e medicina

del lavoro dell’Ausl, il 43enne, dipendente della impresa individuale ‘Faustinelli Gian Pietro’, verso le 14.30 era entrato in Setramar per caricare rotoli di filo d’acciaio. Poi era sceso dal mezzo per raggiungere a piedi il deposito: ma all’improvviso era stato travolto. Il carrello che lo aveva falciato, procedeva ai 9 chilometri orari (il limite è dei 10). E, alla luce della sua conformazione, "al momento dell’investimento il pedone si trovava in un cono d’ombra". Per il conducente - ha scritto il giudice - era insomma impossibile scorgere il pedone in tempo utile: non poteva avere insomma avuto alcuna responsabilità sull’accaduto.

In quanto al legale rappresentate di Cofari, la sua colpa avrebbe in ipotesi potuto essere quella legata a una mancata vigilanza. Ma - ha chiarito il giudice - non si capisce "quale sarebbe stata in concreto la condotta omessa dall’imputato idonea a evitare l’evento" dato che "non era stata l’attività della Cofari a generare il rischio dal quale era derivato l’infortunio" bensì "alla Setramar spettava il compito di coordinare e organizzare le operazioni di carico e scarico".

Va inoltre considerato che era stata "la vittima a prendere l’iniziativa di attraversare il piazzale in zona non consentita adottando una condotta fortemente imprudente". Tutto ciò nonostante "l’autotrasportatore avesse già lavorato" in quella stessa area. Come dire che era una persona esperta, con le "necessarie cognizioni".

Nel complesso una condotta "gravemente imprudente" la sua, di fronte alla quale "occorre chiedersi cosa avrebbe potuto fare l’imputato" della Cofari "per scongiurare l’evento" quando invece per il giudice spettava "alla Setramar la vigilanza sulle disposizioni volte a evitare manovre" come quella fatta dal 43enne. Tanto più che, "secondo quanto emerso dall’istruttoria dibattimentale, quello dell’attraversamento pedonale dei camionisti era una deprecabile prassi".

Andrea Colombari