SARA SERVADEI
Cronaca

La malattia di Lyme. Dal morso delle zecche conseguenze negli anni: "Tante nei nostri boschi"

In provincia l’ambulatorio regionale che cura questa patologia. La primaria di Dermatologia: "Ultimamente la media è di 15 casi all’anno. Dalla puntura possono esserci problemi articolari, cardiologici, oculistici".

La malattia di Lyme. Dal morso delle zecche conseguenze negli anni: "Tante nei nostri boschi"

La dottoressa Michela Tabanelli, primaria di Dermatologia a Ravenna

Ravenna, 6 agosto 2024 – Zecche ixodus ricinus. Piccole, otto paia di zampe, si posizionano sulla cima delle vegetazione in attesa di un ospite a cui attaccarsi. Che può essere anche umano, a cui la zecca può trasmettere un batterio: la Borrelia burgdorfer. E da lì lo sfortunato soggetto potrebbe ritrovarsi a fare i conti con la malattia di Lyme, che se non curata in tempo si cronicizza colpendo vari organi.

È una delle tre patologia trattate nell’ambulatorio per le malattie rare dell’unità operativa complessa di Dermatologia di Ravenna: le altre due sono le bullosi del gruppo pemfigo e pemfigoide e il lichen scleroatrofico.

L’ambulatorio di Ravenna è centro regionale di riferimento della malattia di Lyme e molti pazienti arrivano dal Faentino, sulle cui colline tra i boschi la zecca ixodus ricinus è particolarmente diffusa.

"Negli ultimi quattro anni ci sono state in media 15 notifiche di patologia per anno – spiega la primaria di Dermatologia di Ravenna Michela Tabanelli –. È la media più alta della Romagna, ma in generale Faenza è una zona con tanti casi anche a paragone con tante altre realtà. Colpisce maschi e femmine dai 19 ai 64 anni, nella nostra casistica".

Tutto inizia con una puntura di zecca. Una puntura che, in questo caso, può avere conseguenze extra-cutanee, con manifestazioni articolari, cardiologiche, neurologiche, psichiatriche e oculari.

"Accade se la malattia non è trattata – spiega Tabanelli –. Dal punto di vista dermatologico, la manifestazione principale è l’eritema migrante: una chiazza, un alone eritematoso con margini netti che compare circa 14 giorni dopo la puntura e che si allarga gradualmente, con un punto di inoculo nella zona centrale sana. Se compare questo eritema e le dimensioni superano i 5 centimetri la diagnosi è certa, è molto caratteristico: la malattia è allo stadio iniziale. La terapia consiste nell’assunzione di un antibiotico per un periodo lungo, da 2 a 4 settimane. E così si guarisce".

Talvolta, però, l’eritema migrante potrebbe non essere individuato o essere ignorato. E i sintomi con cui il paziente si presenta dal medico possono essere differenti: "Come il linfocitoma da borrelia: una placca o un nodulo rossastro, morbido, con margini netti – prosegue Tabanelli –. Può manifestarsi a distanza di settimane o mesi dal morso della zecca in punti come i lobi delle orecchie, le aureole mammarie, le ascelle o lo scroto. Infine la terza manifestazione a livello della cute è l’acrodermatite cronica atrofizzante, tipica degli stadi tardivi della malattia, anche anni dopo il morso: su mani, piedi e avambracci la cute diventa violacea ed evolve verso l’atrofia".

Ci possono poi essere manifestazioni extra-cutanee: "I dolori articolari sono i più frequenti, spesso una monoartrite che coinvolge il ginocchio – aggiunge Tabanelli –. Oppure manifestazioni neurologiche con cefalea, parestesia periferica, encefalite acuta o subacuta, meningite, paralisi del nervo facciale. Nel 4-10% dei casi possono esserci anche problemi cardiaci, come miocardite o pericardite e disturbi del ritmo cardiaco".

In questi casi la cura può variare sulla base dell’organo colpito, con antibiotici da assumere per via endovenosa o intramuscolo. La malattia non è letale, ma la cura può essere pesante.

"Di solito riusciamo ad agire subito – conclude Tabanelli – ma possono avvenire delle cronicizzazioni. Alcuni pazienti hanno già avuto manifestazioni articolari o neurologiche e c’è un percorso per loro: vanno seguiti nel tempo".