La piscina chiude per protesta: "Bollette diventate insostenibili"

Domenica la serrata. Gas ed elettricità aumentati e troppi controlli: "Non si può andare avanti a lungo"

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Chiudere per protesta per non dover chiudere per sempre. Anche la piscina di Faenza rimarrà chiusa in segno di dissenso domenica 6 febbraio, come molte altre piscine comunali lungo tutta la penisola.

I dieci mesi di chiusura scontati nel corso degli ultimi due anni, le limitazioni ancora in vigore, tali da comprimere l’attività al 50 per cento rispetto all’era prepandemica, dipingono una situazione di sofferenza tra le più gravi in assoluto in qualsiasi settore, fatta eccezione ovviamente per le discoteche. "E pensare che già dall’estate scorsa nel nostro settore si notava un aumento nei costi delle bollette: fa specie che il governo se ne sia accorto solo ora, quando i costi mensili sono passati da 20mila a 35mila euro", fa notare il presidente di Cogisport Roberto Carboni.

"Costi che non possono neppure essere abbattuti: non possiamo certo tenere l’acqua ad una temperatura inaccettabile. E neppure portare il biglietto da 8 a 12 euro, o far pagare un corso 170 euro anziché 100. Lo sport tornerebbe una pratica elitaria".

Il Centro Sub Nuoto Club, ormai quasi due anni fa, mise in allerta proprio su questo aspetto. Lo fece nel corso di un evento pubblico organizzato insieme alle altre realtà che fanno parte di Faenza Sport, e cioè il circolo del tennis, il Club Atletico Faenza Lotta e l’Atletica 85. Il ritorno a uno sport d’elite non significherebbe solo veder andare in fumo cent’anni di storia della civiltà europea: una società che non pratica sport è destinata a vedere compromessa la propria salute. La sedentarietà conduce all’obesità, l’obesità al diabete: malattia che accumula numeri, nel mondo, nell’ordine delle centinaia di milioni. "È a questo che vogliamo arrivare?". Al di là del rincaro bollette, la rotta sembra già in parte tracciata in quella direzione: "Delle 210mila persone che frequentavano annualmente la piscina nel 2019, a fine 2021 ne erano rimaste appena 120mila, cioè poco più della metà. Spiace dirlo ma la mazzata finale è arrivata con l’obbligo di green pass per chi ha più di 12 anni. Una decisione forse necessaria ma che andava spiegata, attutita, resa implementabile. Invece si è solo aperto un altro baratro, così come sull’obbligo di visita sportiva per gli agonisti risultati positivi: altri mesi senza attività. Impianti come le piscine si reggono invece sui numeri. Su base annua nessuna piscina può stare nei costi. Davanti a una situazione come questa anche le società in salute, come la nostra, hanno davanti a sé non più di un anno e mezzo di vita".

Altrove il dramma è già cominciato: "In Lombardia ha già chiuso i battenti un colosso che gestiva nove piscine. Immaginando che prima della pandemia avesse numeri analoghi ai nostri, vuol dire che almeno un milione di frequentatori sono rimasti senza un luogo in cui fare sport. Inoltre impianti che chiudono oggi non riapriranno prima di uno o due anni".

I costi infatti sono schizzati verso l’alto su tutti i fronti: "Per fare fronte a tutte le sanificazioni e le procedure di sicurezza abbiamo avuto bisogno di un numero maggiore di dipendenti, per alcune mansioni addirittura raddoppiato. In totale parliamo di 18 persone occupate nella stagione invernale e di più di cinquanta in quella estiva". A traballare è il concetto stesso di stagione invernale: "Con questi costi non avrebbe più senso rimanere aperti nei mesi fra novembre e marzo".

Filippo Donati