CARLO RAGGI
Cronaca

La storia della ’Pompei ravennate’. I tanti progetti rimasti sepolti. E quel parco mai decollato

Dagli anni Sessanta è stata scoperta solo una parte dell’area e non è partito nessun piano archeologico. E servono finanziamenti sostanziosi. L’assessore Sbaraglia: "Un impegno oneroso per il Ministero".

La storia della ’Pompei ravennate’. I tanti progetti rimasti sepolti. E quel parco mai decollato

Dagli anni Sessanta è stata scoperta solo una parte dell’area e non è partito nessun piano archeologico. E servono finanziamenti sostanziosi. L’assessore Sbaraglia: "Un impegno oneroso per il Ministero".

Si estende su un’area di duecento ettari e sotto una coltre di sabbia alluvionale fino a tre metri: è la Pompei ravennate, come strillavano i titoli del Carlino degli anni 70-80, che si nasconde nel sottosuolo fra Ponte Nuovo e Classe e della quale, dagli anni 60 ad oggi, è stata portata alla luce solo una parte. Ovvero tracce dell’antico porto, una necropoli, molti reperti, disseminati fra Classis e il museo Nazionale; altro è stato ricoperto, altro ancora, cioè la basilica di San Severo, è stata dimenticata, irraggiungibile, circondata dai rovi.

Fra la fine del 1987 e i primi mesi del 1988 l’urbanista Marcello Vittorini consegnò al Comune di Ravenna un progetto di massima per un grande parco archeologico di Classe, dalla Marabina a Sant’Apollinare, da via Romea sud a via Vecchia Romea, rinviando solo il grosso nodo della ferrovia Ravenna-Rimini la cui costruzione iniziò nel 1885, ovvero quando della Classe romana, che i binari sormontano, nulla interessava. Vittorini indicò anche il costo di una tale opera in 80 miliardi di lire, vale a dire cento milioni di euro al valore odierno, che comprendeva la trasformazione dello zuccherificio in museo, la sistemazione delle aree, la recinzione e l’alberatura del parco, l’avvio dei primi scavi. Un progetto che vide grande convergenza, in città, a livello culturale e politico, venendo considerato un importante volano per il flusso turistico e che, come evidenziò l’allora sindaco Mauro Dragoni, avrebbe dovuto vedere la partecipazione finanziaria dello Stato e di Bruxelles.

Da allora sono passati ormai 40 anni e il risultato sono il porto antico e il museo Classis, ovvero solo prime tappe di un percorso lungo se si ha come orizzonte una ‘Pompei ravennate’. La ricerca archeologica ha tempi scanditi dalle risorse e se sono ridotte, come lo sono sempre (ma non si devono dimenticare i ben cospicui finanziamenti della Fondazione della ‘Cassa’ per il museo Classis), i tempi si dilatano: a Classe sono trascorsi oltre 60 anni dai primi sondaggi e studi di Giuseppe Cortesi, Arnaldo Roncuzzi, Giuseppe Bovini e Giovanna Bermond Montanari, della Soprintendenza archeologica, cui succedette Maria Grazia Maioli. Sui risultati degli scavi sono stati scritti fiumi di inchiostro in saggi e libri, la conoscenza del passato romano e bizantino di Ravenna ha fatto passi avanti notevoli, ma tutto questo resta patrimonio degli esperti, degli studiosi, non si estende al pubblico: solo gli scavi, i resti del passato da toccare con mano in sito attirano l’interesse del viaggiatore curioso.

Giuseppe Sassatelli, presidente di RavennAntica, è ottimista sulla possibilità del finanziamento ministeriale per il recupero della basilica di San Severo e non esclude che in futuro riprendano le esplorazioni nel sottosuolo. "Rendiamoci però conto – ha sottolineato l’assessore Fabio Sbaraglia – che stiamo parlando di prospettive estremamente onerose e di un impegno altrettanto forte da parte del Ministero".

Nel 1997, in vista del Giubileo, Arnaldo Roncuzzi nel ricordare sulla rivista Libro Aperto l’avvio degli scavi a opera dei volontari del Comitato Scavi di Classe (con i finanziamenti privati di Marino Marini e Giacinto Rambelli), con la prima grossa scoperta, nel ‘61, dei moli del porto, auspicava la realizzazione del grande parco archeologico di Classe e annotava come in quattro anni, fino al 1965, le sue ricerche avessero portato alla comprensione della estrema complessità della antica Classe con più livelli di edificazione fino a tre metri sotto il piano di campagna e alla individuazione dei resti di varie basiliche: la basilica di San Severo (unica il cui scavo sia aperto), la basilica Probiana (San Probo), "a duecento metri da Sant’Apollinare", la basilica di Sant’Eleucadio, "a 180 metri da Sant’Apollinare sul lato occidentale della stazione di Classe", la basilica Petriana (San Pietro) fra via Romea Vecchia e la ferrovia, "a 40 metri dalla banchina del porto, i resti affiorano in superfice".

Roncuzzi ricorda come Cortesi avesse portato alla luce anche il muro frontale della grande basilica (nel podere Mazzotti), ma poi lo scavo fu ricoperto per "mancanza di programmi da parte della Soprintendenza". Parte dei muri sono sotto la ferrovia. Auspicava Roncuzzi che proprio in occasione del Giubileo del 2000 ben si sarebbero potuti avviare scavi, ove possibile, "per mostrare ai pellegrini i sacri luoghi che conservano i resti dei Padri asiatici del Cristianesimo". Appello caduto nel vuoto, all’epoca: si puntò su Teodorico. In un altro scritto nel 2009 Roncuzzi tornò sull’argomento del parco archeologico, evidenziando anche i cedimenti fatti dagli anni 60 in poi dal Comune sul fronte dei vincoli che avrebbero dovuto essere imposti all’edificazione a Classe e che hanno quindi compromesso definitivamente tante possibilità di scavo.

A tal proposito val la pena evidenziare come il vincolo assoluto di costruzione sull’area fra via Romea sud e la ferrovia (e finalizzato al mantenimento della libera visuale per la basilica di Sant’Apollinare), sia stato posto negli anni Venti del secolo scorso. Nell’ottica di Roncuzzi il grande parco archeologico, senza soluzione di continuità da Sant’Apollinare alla Marabina, avrebbe dovuto avere ingresso da sud, dalla basilica di Classe, e non da nord, per usufruire dell’"enorme flusso turistico a Sant’Apollinare".