L’accusa: "Confermate i 30 anni" La difesa: "Dovete assolverla"

Morte di Montanari: la procura chiede la condanna. Per i legali dell’ex infermiera. invece non ci sono prove concrete

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"Lavorate sul materiale indiziario e mettete il movente nella giusta collocazione: otterrete una sentenza che merita di essere confermata".

E’ bastata poco più di un’ora di requisitoria al sostituto procuratore generale (pg) Luciana Cicerchia per chiedere nel pomeriggio di ieri davanti alla corte d’assise d’appello di Bologna, la conferma della condanna a 30 anni di reclusione. In un dibattimento monopolizzato dalle questioni scientifiche, si era quasi perso di vista il processo d’appello per la morte di Massimo Montanari, il 94enne di Conselice deceduto la notte del 12 marzo 2014 alla vigilia dalle annunciate dimissioni dall’ospedale di Lugo. E pensare che l’imputata, l’ex infermiera Poggiali, se oggi si trova in custodia cautelare in carcere, lo deve proprio alla condanna rimediata nel dicembre scorso davanti al gup ravennate Janos Barlotti. Ecco che allora il pg ha sintetizzato tutto quanto accaduto quella notte soffermandosi sullo stupore provato sia da un’infermiera in servizio che dalla dottoressa di guardia "rimasta senza parole" per quella "morte improvvisa". Perché Montanari "non era terminale: doveva essere dimesso". Ha anche ricordato alcuni dettagli, come il fatto che Montanari "aveva un batuffolo di cotone appoggiato alla mano". E ha ripercorso il contestato movente: dare sfogo a una minaccia pronunciata cinque anni prima alla segretaria di Montanari, all’epoca datore di lavoro del compagno dell’imputata.

Aggiornamento Daniela Poggiali assolta il 25 ottobre

L’avvocato Giovanni Scudellari, parte civile per l’Ausl Romagna, ha cominciato manifestando la volontà di concentrasi "su logica e buonsenso" piuttosto che analizzare le questioni scientifiche. Ha ricordato gli stati d’animo ("incredulità e allarme") che serpeggiavano tra chi lavorava con la Poggiali: "Ci si è resi conto che quando interveniva lei, le persone che non dovevano morire, morivano". Si è pure soffermato sulle statistiche relative al tasso di mortalità

"Non ho capito in base a quali prove certe chiedono di condannare una persona per omicidio - ha esordito Lorenzo Valgimigli, avvocato della Poggiali assieme al collega Gaetano Insolera -. Per quali informazioni probatorie sono convinti che Montanari sia morto di potassio? Critichiamo concretezza, correttezza e logicità della motivazione" che ha portato alla condanna e nella quale - secondo il legale - c’è una "esorbitante valutazione del caso Calderoni" in relazione "all’iter logico". Per quanto riguarda il paziente, ha ricordato che si trattava di un "ultranovantenne, cardiopatico, portatore di pacemaker". Circa le indagini sul caso, ha sottolineato inoltre che "non fu fatta autopsia giudiziaria" e non sono stati "ascoltati i compagni di stanza", quelli che che avrebbero detto che la Poggiali aveva praticato un’iniezione prima della morte: "Tutto si è basato sul sul sentito dire". Per questo la richiesta è di assoluzione perché fatto non sussiste.