Il gip, su specifica istanza degli avvocati, a fine giugno aveva revocato i domiciliari inizialmente assegnati. La corte d’appello di Bologna ha invece nei giorni scorsi detto no al ricorso delle difese confermando di conseguenza il provvedimento che ne era scaturito: la sospensione integrale dall’esercizio del pubblico ufficio per sei mesi. Protagonista della misura interdittiva, è il luogotenente 53enne Pino Daniele, originario di Chieti ed ex comandante della Stazione di Cotignola prima di passare alla sezione pg della procura di Ravenna (è difeso dagli avvocati Ermanno e Claudio Cicognani).
Il nome del militare era finito sul registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta della Dda bolognese (pm Roberto Ceroni) culminata a inizio estate in varie misure cautelari: tra queste, la carcerazione per il 50enne ex parlamentare leghista Gianluca Pini (avvocato Carlo Nannini), poi passato ai domiciliari.
Posizione, almeno sul piano della contestazione giuridica, analoga a quella del luogotenente, è quella di Salvatore Albano, 49 anni, di origine brindisina e assistente capo alla Scientifica della questura di Forlì prima di passare alla Digos (avvocati Marco Gramiacci e Jacopo Zanotti): in questo caso la difesa ha scelto di non fare appello (la misura interdittiva si esaurirà dunque in maniera naturale i primi di gennaio). Per quanto riguarda il 53enne, resta invece naturalmente aperta la possibilità della Cassazione prima che si formi il cosiddetto giudicato cautelare.
Sui due, a suo tempo il gip bolognese Andrea Salvatore Romito aveva in buona sostanza precisato che le spiegazioni che entrambi avevano dato durante l’interrogatorio di garanzia, erano "non convincenti". E in ogni caso non "in grado di depotenziare la significatività degli elementi fattuali" portati dall’accusa. Tuttavia per salvare le esigenze cautelari, era sufficiente applicare una "misura interdittiva".
Sotto il profilo accusatorio, a Pini nel filone bolognese viene contestato l’avere concluso un pactum sceleris con Albano e Daniele promettendo (e facendo loro ottenere) gli agognati trasferimenti di settore in cambio di informazioni dalle banche dati. Nello specifico al momento le accuse mosse sono di corruzione oltre che di accesso abusivo a sistema informatico.
Entrambi gli indagati hanno in buona sostanza negato condotte di rilievo penale. Secondo il gip però le loro parole non erano state in grado di scalfire il quadro indiziario né tanto meno "le deduzioni logiche" che si potevano trarre dagli elementi "sui quali è eretto il provvedimento" restrittivo.
In particolare Daniele aveva spiegato che più che una raccomandazione per un posto in procura a Ravenna, la sua era stata una richiesta sulle tempistiche. E in quanto a tutti gli accessi alla banca dati, sempre a suo dire erano stati compiuti solo come strumento di controllo del territorio.
a.col.