Ravenna, a 15 anni a lavorare senza contratto. I genitori finiscono a processo

Caso segnalato dall’Inps. Il padre: "Ma io sono orgoglioso di lui"

Lavoro minorile

Lavoro minorile

Ravenna, 15 giugno 2018 - Quindici anni e qualche mese. Forse abbastanza per iniziare a capire come gira il mondo. Di sicuro non ancora abbastanza secondo la legge per mettersi a lavorare come un adulto. Il protagonista della singolare vicenda approdata ieri mattina davanti al giudice Beatrice Marini, all’epoca dei fatti aveva appunto poco più di 15 anni. Alla sbarra naturalmente non c’è lui, ma i genitori: entrambi accusati di avere violato la specifica legge del 1967 a «tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti».

Quella che vi stiamo per raccontare non è una vicenda di bieco degrado sociale, tanto più che fino alla scorsa generazione era ampiamente accettato in contesto di campagne o di stagione balneare che i minori «dessero una mano», come si soleva dire. E tuttavia la sensibilità nei confronti del lavoro minorile è radicalmente cambiata da allora. Si riparte da qui dunque: dall’ispezione del 2 settembre 2015 dell’Inps in una azienda agricola alle porte della città. Si tratta di una piccola azienda a conduzione familiare come tante altre, dove spesso alla produzione si accompagna anche la vendita al dettaglio. E in quell’occasione gli ispettori trovano indaffarato pure un ragazzino.

Si tratta di uno studente di un istituto superiore impegnato a scaricare le casse della frutta. La segnalazione qualche giorno dopo arriva al Nil, il nucleo ispettorato lavoro dei carabinieri. Dalle successive verifiche, emerge che il ragazzino aveva iniziato a luglio per tre giorni alla settimane per tre ore al giorno, dalle 8.30 alle 11.30. Nessuna lettera di assunzione e nessun contratto. All’azienda ammettono: «C’è un ragazzino che ci dà una mano solo alla vendita dei prodotti». Per il datore di lavoro scatta una maxi-sanzione per lavoro nero. Ma non finisce lì: perché la contestata violazione della legge a tutela dei minorenni al lavoro, porta a tre decreti penali di condanna. Uno è per il datore di lavoro: 10 giorni di carcere convertiti in 2.500 euro di pena pecuniaria.

E gli altri due sono per i genitori del ragazzo, entrambi ravennati e difesi dagli avvocati Sandra Vannucci e Andrea Monti: 30 giorni di carcere a testa convertiti in 7.500 euro. I due non ci stanno, presentano opposizione: ed è così che finiscono a processo. La madre in buona sostanza ha detto che il ragazzino era andato lì perché si tratta di amici di famiglia da 40 anni: ma che non sapeva che lui lavorasse. Di tenore analogo le dichiarazioni del padre il quale ha detto che ignorava che il ragazzino lavorasse invece di starsene in vacanza. «Fu una sua scelta – ha spiegato –: si è tirato su le maniche, anche se forse lo ha fatto un po’ troppo presto. Ma lo ammiro per la decisione, specie se si guarda in giro a quanto fanno invece altri giovani». E su questo, come dargli torto. Prossima udienza a settembre.