L’avvocatessa erede universale "Lui voleva dare tutto all’ospedale"

A processo per circonvenzione su un anziano di 85 anni una legale e la titolare di una casa famiglia

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È partito l’altro giorno il processo che vede imputate di circonvenzione di incapace in concorso un’avvocatessa 56enne e la titolare 55enne della casa di riposo, accusate di avere approfittato tra il 2017 e il 2018 delle condizioni di un 85enne (all’epoca dei fatti) di Porto Fuori per indurlo a compiere atti patrimoniali a loro favore tra cui la consegna di contanti, l’emissione di assegni, il preliminare di vendita di un immobile e l’atto testamentario che le designava eredi universali. Per la stessa vicenda lo psichiatra che, in concorso con l’avvocatessa aveva certificato le capacità mentali dell’anziano, attribuendogli una capacità di riconoscere il valore del denaro laddove non l’aveva, è già stato condannato in abbreviato a un mese per falso.

La legale e la gestrice della casa di riposo in cui l’anziano era ricoverato – difese dagli avvocati Aldo Guerrini e Nicola Casadio –, sono accusate di avere abusato della sua limitata indipendenza e autonomia per indurlo a compiere movimenti finanziari ingiustificati a favore delle due donne, come prelievi per 11 mila euro, assegni bancari per 9mila a favore del condominio verso il quale l’avvocatessa aveva un debito personale. Sentiti in aula, l’amministratore di condominio e il legale che lo tutela hanno confermato la circostanza.

Da ulteriori ricerche era emerso che la vittima, nel luglio 2018, con testamento pubblico davanti a un notaio aveva nominato eredi universali le due odierne imputate. Tra queste l’avvocatessa, in previsione di una futura incapacità fisica e psichica, si sarebbe fatta inoltre designare amministratrice di sostegno.

Davanti al giudice Cecilia Calandra, come testimone, è stata sentita anche la vera amministratrice di sostegno, poi nominata su richiesta della sorella della vittima, dal cui esposto la Procura aveva aperto un fascicolo. Questa ha spiegato che l’anziano non era autonomo, né in grado di percepire il valore dei soldi, e a suo giudizio fu indotto a compiere quelle dazioni di denaro e soprattutto quel testamento, dato che "la sua volontà – ha spiegato – era di lasciare tutto all’ospedale di Ravenna". L’amministratrice aveva chiesto gli estratti conto a partire dall’anno precedente, notando che da quando la sede della casa famiglia si era trasferita la retta era aumentata di 200 euro, toccando i 2mila euro al mese. Sospetti erano anche i prelievi che l’anziano faceva dal conto in banca, che arrivavano a svariate migliaia di euro per un totale di 14mila euro ritirati dalla filiale di Porto Fuori, secondo l’accusa accompagnato personalmente dalla titolare della casa famiglia e dall’avvocatessa.

L’anziano fu indotto, inoltre, a sottoscrivere nel dicembre 2017 il preliminare di vendita di un immobile a Ravenna, per un importo di 140mila euro e ricevendo un acconto di 30mila, quando da una perizia il valore dell’immobile era notevolmente superiore, circa 230mila euro. Operazione, ad ogni modo, annullata dopo che alla nuova amministratrice l’anziano riferì che non aveva alcuna intenzione di vendere quella casa. Secondo il legale di parte civile che lo tutela, avvocato Andrea Albertini, lo stesso era incapace di intendere e di volere sin dal gennaio 2017 e ora chiede un risarcimento, tra danni materiali e morali, di 20mila euro.