
Del caso se ne occupò la Polizia
L’alibi era falso. Il racconto della ragazza era credibile. E la visita medica aveva senz’altro evidenziato lesioni legate a una violenza sessuale. Ma soprattutto qualche ora prima dello stupro, lo zio che materialmente l’aveva commesso, aveva fatto una ricerca su internet "sugli abusi ai danni di minori". Con uno specifico interesse: "Abusi sulla nipote: pugno duro della Cassazione". Ecco che la frase - secondo la giovane pronunciata poco prima degli abusi ("adesso ti faccio vedere io cos’è uno stupro") - "collima perfettamente con la ricerca su internet".
Motivazioni, quelle depositate di recente dal gup Corrado Schiaretti, che spiegano il pugno duro usato in abbreviato sui due zii di una ragazza poco più che maggiorenne accusati di violenza sessuale di gruppo: otto anni di reclusione per l’esecutore materiale e sei anni per il mandante morale del raid punitivo realizzato il 4 febbraio 2021 per convincere la ragazza a ritirare la denuncia per abusi sessuali subiti dal secondo zio durante l’infanzia; quindi, al suo rifiuto, per punirla con l’aiuto di altri due uomini non identificati e assoldati per tenerla ferma.
Per il giudice "il racconto dell’atto sessuale violento, è stato offerto dalla vittima in modo molto realistico". Da inizio alla fine: quando lo zio, prima di andarsene, aveva "sputato per terra": un gesto che per la ragazza significava questo: "Sei una vergogna, uno schifo". "Particolarmente significative - ha proseguito la sentenza - le successive parole" della giovane: "Mi sono rannicchiata e sono rimasta immobile a fissare il vuoto...ho cercato di fare finta che non fosse successo nulla". Nel complesso, "il racconto della ragazza è apparso assolutamente sincero" perché lei "ha spiegato la sua iniziale reticenza al denunciare" e le menzogne dette sia al fidanzato che alla polizia intervenuta sul posto. L’unico "punto risultato complessivamente incoerente, è stata l’indicazione dei tempi". Ma ciò è stato "assai verosimilmente e comprensibilmente determinato dalla forte carica emotiva, dal trauma subito quel pomeriggio che certamente ha determinato una errata percezione dello sviluppo cronologico della vicenda".
La valutazione di attendibilità è passata pure dalla narrazione di quanto accaduto dopo "l’allontanamento dei suoi aggressori: la doccia, il lavaggio del pavimento, il cambio dei vestiti gettati nel cesto degli indumenti" là dove "la polizia scientifica li aveva effettivamente trovati". Ovvero "una sequenza tipica della vittima immediatamente dopo un abuso". Altri elementi ancora sono giunti "dall’esame psicologico: la ragazza ha manifestato senso di sfiducia, di impotenza, di rabbia, di tristezza".
Nel complesso, il ricordo di quel pomeriggio è apparso "fluido con poche zone d’ombra, coerente, con ricchezza di annotazioni".
E pensare che a suo tempo il gip della città del nord nella quale erano stati rintracciati i due, non aveva convalidato i fermi. Tutto per un alibi in quel momento considerato di ferro. I due si trovavano cioè nello studio dell’allora avvocato. Entrambi gli zii avevano rilasciato sul punto "dichiarazioni sostanzialmente sovrapponibili". A riscontro, anche le dichiarazioni del legale che poi aveva rimesso il mandato. "Le sommarie informazioni dell’avvocato - ha precisato il giudice - devono essere valutate secondo criteri di grande rigore". Il gup ha dato atto che l’indagine della squadra Mobile coordinata dal pm Angela Scorza, "è stata svolta nel più ampio modo possibile con tentativi per sondare possibili risvolti non affiorati". Vedi l’analisi dei varchi stradali da cui non erano emersi passaggi degli imputati. E pure i tabulati avevano portato a poco. Ma "la falsità dell’alibi" dell’esecutore materiale , ha smentito a cascata pure "le dichiarazioni dei familiari" gettando "una luce chiara sul coinvolgimento" dell’altro zio.
Andrea Colombari