Le ricercatrici di Pangea: "Lupi, si può convivere"

L’assicurazione delle studiose: "Non sono un pericolo per l’uomo"

Le ricercatrici di Pangea:   "Lupi, si può convivere"

Le ricercatrici di Pangea: "Lupi, si può convivere"

Cosa accade quando un predatore al vertice della catena alimentare si espande? È quello che sta succedendo nelle pianure della Romagna dove l’uomo è tornato a incontrare il lupo. Per secoli lo spazio di orsi, lontre, rapaci e lupi si era progressivamente ridotto, in alcuni casi fino alla sparizione di alcuni animali. Nel Novecento le politiche conservazionistiche hanno invertito la tendenza, e fra le specie animali quelle più adattabili sono state protagoniste di un’espansione talvolta formidabile: il lupo è una di queste. A differenza che altrove, dall’Appennino romagnolo il ‘canis lupus italicus’ non se n’è probabilmente mai andato, come ricostruito di recente dai ricercatori incrociando la serie di segnalazioni e di abbattimenti proseguiti tra anni ‘50 e ‘70 (quando la presenza del lupo in Italia si ridusse ad appena un centinaio di esemplari). Eppure gli esseri umani avevano perso la memoria della sua esistenza, così come degli accorgimenti – pochi, ma necessari – per convivere con lui pacificamente. "Innanzitutto va sgombrato il campo da equivoci", ribadiscono le ricercatrici dell’associazione Pangea, collaboratrici dell’Ente Parchi Romagna e impegnate in un’attività di divulgazione sempre più intensa da quando si sono moltiplicati gli avvistamenti. "Il lupo non è un pericolo per l’uomo: in Italia non sono registrati casi di attacchi nell’ultimo secolo, da quando insomma esiste una vera letteratura scientifica". Semmai è il lupo a dover avere paura: la morte naturale è quasi un lusso per lui, considerando le centinaia di esemplari che in Italia ogni anno muoiono per investimenti stradali o atti di bracconaggio. Ma è soprattutto una domanda ad essere posta di frequente di fronte all’espansione dei lupi: perché sono tornati in pianura? "Si tratta di animali estremamente adattabili sia dal punto di vista ambientale – prosegue per Pangea la ricercatrice Carlotta Nucci – che da quello alimentare". I lupi si rifugiano in campi di mais e girasoli, canali di irrigazione, porzioni di aree protette, argini dei fiumi, piccole oasi boschive. Storicamente ghiotto di cinghiali e caprioli – per i quali però appena il 10% dei tentativi di predazione va a buon fine – il lupo in pianura ha imparato a soddisfare il suo fabbisogno di tre chilogrammi giornalieri di carne servendosi ad esempio delle nutrie. Perché, domandano molti, i lupi si vedono sempre più spesso? La loro estensione numerica continua a essere ridotta – appena 2400 esemplari nella settantina di province peninsulari italiane – ma in pianura il paesaggio "è più fitto di osservatori, privo di vegetazione, e il transito da una zona di rifugio all’altra può richiedere la necessità di percorrere grandi distanze. Sono inoltre più abituati ai rumori dei trattori che dunque li spaventano meno, e tendono ad associare le aree antropizzate alla disponibilità di cibo".

Questo è il nodo della questione: un lupo che si avvicina a un abitato è infatti come se vi fosse stato ‘invitato’: "Può essere attratto da cibo per animali rimasto abbandonato, da rifiuti non smaltiti correttamente, da bestiame domestico lasciato all’esterno di notte, o peggio da cani tenuti alla catena", che potrebbero essere vittima di scontri con i lupi: tocca ai loro proprietari doverli tenere al sicuro.

Filippo Donati