"Ho delle domande per tutti voi, siate sinceri almeno con voi stessi. Perché insegnate? Quando ci guardate cosa vedete?". La lettera una studentessa del liceo scientifico di Lugo rivolta ai suoi professori sta facendo il giro dei social. Probabilmente perché risuonano nell’esperienza di tanti altri alunni e alunne che frequentano le scuole italiane e rappresentano un appello urgente. "Cari professori – scrive la giovane nel testo, affisso sulle bacheche della scuola e condiviso su Instagram dal creator e insegnante Enrico Galiano – è quasi un peccato essere arrivati così in basso da trovar necessario scrivere una lettera, ma non vedo soluzione”. Un’apertura sferzante per una lettera lucida e consapevole, in cui si racconta la disillusione verso la scuola e il suo sistema e si denuncia l’incapacità dei professori di insegnare davvero, entrando in connessione con gli studenti e ricompensando il loro lavoro. L’autrice diciassettenne ha scritto, più o meno consapevolmente, un vero e proprio manifesto del disagio giovanile, che ha raccolto online migliaia di reazioni e commenti. E questo significa che l’immagine della scuola come un luogo che ha perso il proprio significato, in cui manca la passione per l’insegnamento e il riconoscimento degli sforzi di chi la frequenta, è riconosciuta da tanti, forse troppi. Nel corso della lettera, la studentessa racconta la propria esperienza personale con lo studio e la perdita della passione che la animava all’inizio del suo percorso scolastico: “Secondo la cultura giapponese ogni persona dovrebbe possedere un ikigai, cioè uno scopo nella vita, quel qualcosa che ti fa svegliare la mattina. Bene, io l’avevo trovato nello studiare. Lo facevo con passione, quasi devozione (…). Poi ho iniziato a comprendere, ogni giorno di più, che non imparo nulla di utile, non mi viene spiegato nulla in modo appassionante, non vengo mai ricompensata per il duro lavoro”. Più di tutto colpisce la denuncia della distanza emotiva tra insegnanti e studenti di cui parla la giovane, che accresce il senso diffuso di disinteresse verso l’educazione scolastica. Ma fa riflettere anche l’apertura della lettera: “Cari professori, è quasi un peccato essere arrivati così in basso da trovar necessario scrivere una lettera, ma non vedo soluzione”. Prima di arrivare ad affiggere la lettera sulle bacheche della scuola, quanti tentativi sono stati fatti? Quanti problemi, posti dagli studenti, sono rimasti inascoltati? La voce di questa studentessa e tutte le condivisioni che ne sono seguite parlano di una profonda frattura tra il mondo degli insegnati e quello dei loro alunni. Un senso di invisibilità e incomunicabilità che non dovrebbe esistere in un sistema scolastico in cui lo scopo è formare e accompagnare. E che invece, troppo spesso, valuta freddamente e non è in grado di ascoltare. Plutarco scriveva, ne “L’educazione dei figli”, che “i giovani non sono vasi da riempire ma fiaccole da accendere”. Ed è forse questo un aforisma che racchiude uno dei problemi centrali dell'educazione di oggi: la scuola non può più permettersi di essere solo un luogo di trasmissione di nozioni. Dovrebbe essere piuttosto uno spazio umano in cui la relazione permette di accendere la passione e di iniziare a intravedere la propria strada nella vita adulta. E quando manca questa relazione, l’apprendimento rischi di perdere di senso e gli studenti rischiano di sentirsi smarriti. La speranza è, allora, che gli insegnanti riescano a rispondere a questo appello sincero e urgente di tornare a “guardare” davvero i proprio alunni e di ritrovare la passione - così da poterla trasmettere anche ai giovani che incontrano tutti i giorni nelle loro aule. La scuola può e deve essere un luogo vivo, in grado di parlare il linguaggio dell’empatia, della cura e della fiducia.
Cronaca“Cari professori, ci vedete davvero?”: la lettera di una studentessa che accende il dibatto