L’impegno in difesa dell’ambiente "Per vivere bene serve che ecologia ed economia si ricompongano"

Guido Tampieri: sindacalista dei Portuali e dei Braccianti, poi assessore regionale all’Agricoltura. Si devono a lui lo sviluppo degli invasi in collina e le limitazioni alla circolazione contro le polveri sottili.

L’impegno in difesa dell’ambiente  "Per vivere bene serve che ecologia  ed economia si ricompongano"

L’impegno in difesa dell’ambiente "Per vivere bene serve che ecologia ed economia si ricompongano"

di Carlo

Raggi

Un ‘ragazzo di campagna, tutta casa e oratorio’, cresciuto in una famiglia per la quale il Partito comunista era portatore di ‘giustizia e libertà’ e che a 8 anni restò sconvolto dalle sfocate immagini televisive dei carri armati sovietici a Budapest: un sincretismo esperienziale che ha tracciato il percorso professionale e politico-istituzionale di Guido Tampieri e ne ha modellato ironia e senso critico. Un percorso dalla gavetta: sindacalista dei Portuali e dei Braccianti, assessore prima provinciale all’Agricoltura e Caccia poi regionale ancora all’Agricoltura (e allo Sviluppo sostenibile), fra i fondatori del Pd, figura nazionale di riferimento del partito, poi sottosegretario all’Agricoltura con il governo di Romano Prodi di cui era stato allievo all’università, infine commissario all’ex Aima. Si devono a lui lo sviluppo degli invasi nelle nostre colline e le limitazioni regionali alla circolazione nel tentativo di contenere le polveri sottili.

Lei è originario di Massa Lombarda, un paese che, con Alfonsine, ha dato al Pci fior fiore di esponenti…

"E non poteva essere diversamente! Quando sono nato, il primo gennaio del ‘48, giorno di promulgazione della Costituzione, nei due paesi votava per il Pci l’80 per cento della popolazione!"

Compresi i genitori?

"Certo, anche se sia il babbo, Achille, che di mestiere ha fatto anche l’allevatore, andava in bici fino al mercato di Rimini, e la mamma, Maria, che gestiva un negozio di terraglie, non erano militanti, a colpirli era il discorso della giustizia sociale, un bell’attrattore. Assieme alla libertà, anche oggi. Il Pci all’epoca prometteva tanto...! Ma non mi è mai stato impedito di frequentare l’oratorio".

Nel senso?

"Che uscivo di casa, attraversavo la strada e andavo nel campetto della chiesa a giocare a calcio. L’oratorio era un centro di aggregazione dei bambini. Ed ero anche andato all’asilo delle suore, l’unico che ci fosse".

E dopo l’asilo, le elementari. Immagino lì a Massa.

"Sì e vorrei ricordare la maestra Maria Gavelli che per me è stata una grande educatrice, assieme alla mamma. Mi ha insegnato alcuni principi fondamentali, il senso critico e lo sguardo rivolto da tutte le parti, non c’è mai un’unica realtà. Poi le medie, quindi il liceo Scientifico, a Lugo. E il calcio".

Non era un passatempo fanciullesco!

"Affatto, mi piaceva perché il calcio più che uno sport è un gioco. Il gioco per me è l’antitesi delle ripetitività che non ho mai sopportato. E’ un modo di vivere, non un momento della vita. Ho giocato nel Massa Lombarda, fino ai 17 anni quando il sogno di diventare un grande numero 10 svanì, per via di un vecchio infortunio! Pazienza, d’altronde ho sempre guardato il mondo con ironia e flessibilità, doti senza cui non si affrontano le questioni complesse. Sono serio, ma non mi prendo eccessivamente sul serio, neanche quando ero vice ministro!" Tramontato il sogno arrivò il tempo dell’Università.

"Giurisprudenza. E io, ragazzo di campagna mi trovai in mezzo a quel grande movimento del Sessantotto che fu soprattutto rivoluzione del costume, primo esempio di globalizzazione delle idee. Non ero ideologizzato, anzi non avevo digerito i carri armati sovietici a Budapest le cui immagini viste in tv all’oratorio non ho più dimenticato, mentre avevo come punto di riferimento il pensiero di papa Giovanni XXIII…"

Partecipò alle occupazioni? "Sì, ai cortei, il Vietnam, la scuola aperta a tutti, temi che entrarono in sintonia con l’idea di sensibilità sociale che avevo respirato in famiglia e la lettura di don Milani, ‘Lettera a una professoressa’ fu dirompente".

Non era iscritto al Pci, all’epoca…

"No, mi iscrissi più tardi, forse nel ‘71. Dopo la laurea vinsi il concorso per dirigente all’ufficio Lavori pubblici della Provincia, ma ci rimasi poco non mi piaceva l’ambiente, troppa burocrazia, poco merito, me ne andai e Novella Montanari, presidente del neo Consorzio Socio Sanitario, mi chiamò come segretario particolare e mi occupai di salute e lavoro portuale. Nel ’73 mi sposai, con Laura, e nel ’76 arrivò Anita, ma intanto nel ’74 ero passato al fronte del sindacato, la Cgil, segretario dei Portuali. Per quattro anni". Un nuovo cambio?

"Sì, alla Federbraccianti, il più antico dei sindacati che nel ’78 ancora annoverava 25 mila tesserati Cgil su 37mila lavoratori. Era segretario nazionale Luciano Lama con cui giocavo a carte. Quattro anni e poi nuovo cambio, ho sempre avuto bisogno di nuovi stimoli e fu il partito a offrirmeli, mettendomi in lista per la Provincia, una lista di giovani, me, Elsa Signorino, Vidmer Mercatali, Gabriele Albonetti. Era il 1982".

Fu eletto e divenne assessore. "Agricoltura e caccia. Da una parte fu un periodo di grandi tensioni, i cacciatori si erano organizzati con la lista Cpa, si stava delineando il Parco del Delta e nessuno lo voleva, mi hanno fatto scoppiare! Dall’altra, sul fronte agricoltura, fu un’esperienza appassionante, stavano arrivando i primi finanziamenti europei. E qualche delusione, troppo consumo di campi per far posto ai centri commerciali. Nei miei due mandati si completò il Canale Emiliano Romagnolo di cui fui fortissimo fautore e grazie al quale l’agricoltura di pianura sopravvive. E non dimentichiamo mai Ridracoli!" Quanti mandati fece?

"Due, prima con Li Vigni come presidente, poi con Guerrini. Nel ’92 fui messo in lista per le regionali, finii primo dei non eletti e nel ’93 entrai in consiglio al posto di Davide Visani chiamato a Roma. Bersani volle me come assessore all’Agricoltura cui nel 2000 si aggiunse la delega allo Sviluppo sostenibile. Fino al 2005".

Raccolse l’eredità dell’assessore Giorgio Ceredi.

"Un personaggio carismatico, che incuteva timore! Sono stati anni di azione sui fronti fondamentali della tutela dell’ambiente. Come ricorderà in quei primi anni 90 la mucillagine algale continuava a presentare un conto pesantissimo. Come prima azione resi operativa la direttiva nitrati della Ue tesa a limitare fortemente l’inquinamento organico dei fiumi".

Sostanzialmente il blocco degli scarichi degli allevamenti di maiali.

"Già…ma fu frustrante, gli allevatori non vollero sentire ragione e trasferirono l’attività sulla riva lombarda del Po, quella Regione non intervenne, e così l’inquinamento proseguì. A dimostrazione di come certi problemi o si affrontano globalmente oppure è tutto inutile! Come per l’aria: come assessore ho imposto le limitazioni al traffico, ma le altre regioni padane?"

A Ceredi e a lei si deve la normativa per gli invasi per l’agricoltura collinare…

"Devo dire che all’epoca si aveva una visione a lungo termine che oggi purtroppo manca. Se vogliamo che i nostri nipoti possano vivere in un mondo normale occorre che ecologia ed economia si ricompongano. Ma non mi sembra che ci si muova su questa strada. Pensi che in Regione avevo lasciato un grande progetto, il piano integrato delle zone costiere che prevedeva impianti solari interconnessi su tutti i bagni del litorale emiliano-romagnolo: la costa solare! Sono passati 18 anni e non si è mosso nulla".

Finita l’esperienza regionale? "Nel 2006 Prodi, mio professore all’università, mi chiamò, sottosegretario all’Agricoltura. Feci due anni, non si combinò molto. Nel 2011 il premier Monti mi nominò commissario dell’ex Aima, l’azienda di Stato che negli anni 70 raccoglieva e distruggeva la frutta invenduta e che oggi ha nome Agea: gestivo, terrorizzato, sei miliardi di euro europei annui a favore dell’agricoltura, degli allevamenti, non per investimenti, ma come incentivi…ad esempio per lasciare incolte certe aree a beneficio della fauna selvatica. Dopo 18 mesi riuscii ad andarmene".