L’infermiere: "Non le ho iniettato io i sedativi"

Imputato per la morte di una paziente, in tribunale il 54enne nega gli addebiti e ribalta sulla collega che lo accusa: "Era poco serena"

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Ha negato di aver somministrato valium e sedativi a quella 67enne insonne, poi deceduta, cosa di cui all’udienza precedente lo aveva accusato una collega. E ha descritto quella paziente come "ribelle e riottosa a seguire le terapie". Accusato di esercizio abusivo della professione medica e morte come conseguenza di altro reato, il 54enne cervese ex infermiere del reparto di lungodegenza nel locale ospedale ha restituito al giudice Andrea Chibelli la propria verità di quella notte tra il 25 e il 26 settembre 2016. Rispondendo alle domande del pm Angela Scorza, l’imputato ha detto che in 32 anni di servizio aveva somministrato farmaci "solo dietro indicazione del medico" o "se prescritti dal foglio della terapia".

A quella paziente, che conosceva e con la quale "quando non dormiva giocavo a carte", ha assicurato di non avere somministrato alcunché quella notte, "poi non so se questa persona si nascondesse le medicine". Come sono finite quelle sostanze – valium e talofen, un sedativo – nel sangue della donna? ha domandato il pm. "Non lo so: o le ha prese lei, oppure qualcuno gliele ha somministrate, ma non certo io". L’impostazione difensiva – avvocato Massimo Martini – è quella di fare ricadere le eventuali responsabilità proprio sull’infermiera testimone oculare, la quale accusa l’imputato dicendo di averlo visto "fare una iniezione di Diazepam", cioè valium. Tornando a casa quella sera, dopo la constatazione del decesso della paziente, ha ricordato l’imputato della collega, "in ascensore l’avevo vista non serena". Poco prima l’imputato stesso contattò il fratello della donna morta, aiutandolo a recuperarne gli effetti personali: "Mettemmo tutto in un sacco nero, c’erano anche medicine, non ricordo quali". Il mattino dopo i carabinieri consegnarono all’infermiere un avviso di garanzia per omicidio colposo: "Rimasi di sale, non capivo". E subito dopo lui inviò un messaggio alla collega: "Lo feci per esprimerle solidarietà". Perché se l’accusato era lei? domanda il pm. "L’avevo vista sconvolta, inquieta". Nell’sms le chiedeva se avesse bisogno di un avvocato. Lei gli rispose di no, e lui: "Ok, uniti", messaggio ambiguo per la Procura. Successivamente l’infermiere fu sospeso un mese poi riassegnato ad altro reparto, a Ravenna. E oggi lui vive la cosa come un’ingiustizia: "Da 7 anni vivo un incubo e sono seguito da uno psicologo; 32 anni di servizio buttati via, messo da parte dopo tanti riconoscimenti".

L’Ausl, al processo, è parte civile con l’avvocato Simone Balzani, i familiari della vittima con l’avvocato Alessandra Fattorini. Un’altra collega dell’imputato, testimone della difesa, ne ha preso le parti, ricordando che con lui "ho lavorato in turno sei mesi, sempre in sicurezza e sempre riuscendo a gestire le emergenze". In quel periodo, peraltro, si registrò "un solo decesso", un paziente oncologico. Al contrario, l’altra collega "era subentrata proprio quella sera, perché io ero in ferie".

Riguardo alla vittima, la testimone ha detto che "la conoscevo da 20 anni" in quanto "viveva permanentemente all’ospedale. Era entrata nelle nostre vite perché non ne aveva una propria. Faceva ciò che voleva: con la glicemia a 200, la vedevi mangiare un panino. Sul comodino aveva una pochette piena di medicine. Il medico lo sapeva e noi non possiamo certo togliere qualcosa a un paziente in grado di intendere. Come se le procurava? Immagino dalle prescrizioni dopo i ricoveri precedenti". Tra i medicinali la testimone ricorda di aver visto anche del Talofen, una delle sostanze che furono trovate nel sangue della deceduta. La quale, ricorda l’infermiera, "si lamentava perché non dormiva la notte". Da qui la seconda ipotesi difensiva: l’auto assunzione del farmaco da parte della vittima.

Lorenzo Priviato