L’ultima tappa di Ercole Baldini, un mito del ciclismo

Nasce un bambino e lo chiami Ercole. Succedeva un tempo in Romagna dove la gente era attaccata alla terra, madre amorosa ma esigente che dava da vivere ma pretendeva in cambio sudore e sacrifici. "La terra è bassa" dicevano i nostri vecchi e per amarla si doveva chinar la schiena, un gesto da noi considerato disdicevole a meno che non venisse fatto a favore della terra. La terra è fatica, chi nasceva in una famiglia contadina doveva saperlo e quel nome Ercole richiamava le famose fatiche dell’eroe della mitologia. Ercole, però, anziché piegare la schiena sulla terra decise di chinarla sul manubrio di una bicicletta e decise di diventare “corridore” trasferendo sul “ferreo corsier” la stessa devozione per il sacrificio. E magari con il pensiero rivolto a Bartali-Coppi-Magni che all’epoca accendevano i cuori dei tifosi. Buono come la piadina, spumeggiante come il Sangiovese.

E oggi, ricordando la sua morte, il pensiero va ad anni lontani quando seguivo alla radio le imprese di un dilettante che al Vigorelli di Milano aveva stabilito il record mondiale dell’ora pigiando sui pedali per 44 km e 870 metri. E il fascino stava tutto nel considerarlo uno di noi, un romagnolo, uno di quelli con la “esse” sibilante e le vocali “spalancate”, un atleta forte e tenace che conquistava le prime pagine dei giornali e dava lustro a una terra. Quella di Ercole Baldini, che ben presto venne salutato come il nuovo Coppi, fu una meteora luminosa e devastante nel ronzante universo delle due ruote. Alle olimpiadi di Melbourne conquistò l’oro su strada giungendo solitario al traguardo. Quando salì sul podio, però, non si trovò il disco con l’inno di Mameli ma per fortuna un emigrato lo intonò e mentre il tricolore saliva sul pennone la gente gli andò dietro. A ricordo di quella impresa, a Sidney c’è oggi una strada intitolata al nostro “corridore”. Conquistò anche la maglia tricolore di campione italiano e regalò a Coppi l’ultima vittoria correndo con lui nel Trofeo Baracchi quindi si aggiudicò il Giro d’Italia del 1958 e lo stesso anno diventò campione del mondo concludendo la gara dopo aver percorso da solo gli ultimi 50 chilometri. Lo avessero mandato al Tour avrebbe vinto anche quello. Pensando allo Sputnik, primo satellite artificiale messo in orbita nell’ottobre del 1957, il re del liscio Secondo Casadei lo definì “lo Sputnik italiano” e gli dedicò nel 1960 una canzone che si concludeva con “Viva Baldini, il treno di Forlì”. Un treno che in questi giorni ha tagliato il traguardo della sua ultima tappa.

Franco Gàbici