Ravenna, matrimoni falsi per permessi di soggiorno

La polizia ha scoperto un gruppo che per i permessi di soggiorno induceva in errore involontario gli assessori che celebravano le nozze

Matrimonio

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Da quando esiste l’idea di Stato, è il modo più efficace e rapido per arrivare a ottenere una cittadinanza: le nozze. Qui però – come in altri tempi sarebbe stato detto al don Abbondio di turno – questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai. E non perché in agguato ci sia stato chissà quale prepotente interessato a convolare con la bella: più semplicemente perché gli interessati qui erano i protagonisti del sì. Interessati ma alla pecunia più che alla (talvolta effimera) promessa di amore eterno: ai soldi incassati per scambiarsi idealmente gli anelli e fare formalmente ottenere il permesso di soggiorno a extracomunitari con qualche soldo da investire sulla cittadinanza. Nozze fasulle insomma che, assieme a una girandola di mazzette per carte di identità e altri documenti necessari nel Bel Paese, si sono tramutate in grane giudiziarie per un gruppo costituito da quattro persone, due donne e due uomini, perlopiù di origine romena (c’è anche un kosovaro) difese dagli avvocati Carlo Benini, Giovanni Scudellari, Domenico Serafino e Fabio Schino. Alla luce degli elementi raccolti dalla squadra Mobile, tutti e quattro davanti al gup Corrado Schiaretti hanno deciso di patteggiare tra gli 8 mesi e i due anni di reclusione: una applicazione di pena passata in giudicato di recente. Per un quinto uomo, un kosovaro possibile leader del gruppo, si procederà separatamente. E le indagini della polizia coordinate dal pm Silvia Ziniti erano partite proprio da lui: o meglio da una segnalazione giunta in questura dall’estero circa un matrimonio dubbio tra un suo connazionale e una romena. Del resto secondo le verifiche degli inquirenti a cui hanno collaborato pure Comune e ufficio Immigrazione, erano kosovari i consorti che, grazie al matrimonio fasullo, ottenevano cittadinanza.

Ed erano romene (in un caso pure una italiana) le mogli che regalavano loro un sogno fatto di carte bollate. Un modus operandi che tra il 2016 e il 2018 a Ravenna ha visto la celebrazione di tre matrimoni falsi (ma quelli segnalati sono almeno il doppio) che, come tali, hanno indotto in errore quegli assessori che, in qualità di ufficiali di stato civile, in buona fede avevano celebrato le nozze: vedi Roberto Fagnani, Massimo Cameliani e Valentina Morigi, tutti naturalmente e assolutamente estranei alla vicenda. Al leader del possibile sodalizio criminale, oltre alla violazione delle leggi sull’immigrazione per via di mazzette di 3.000 e di 4.000 euro incamerate per sfornare due carte di identità, viene ricondotta anche una estorsione. Questo quanto gli contesta l’accusa: nel dicembre 2019 aveva iniziato a minacciare una giovane romena che voleva avviare le pratiche di separazione da un kosovaro prima che questi ottenesse il permesso di soggiorno. La donna si era messa da poco con un italiano: e allora il capo della banda aveva cominciato a seguirla a piedi e in auto e a minacciare lei e il fidanzato perché non si separasse prima dell’arrivo dei documenti. Agli altri indagati sono stati contestati vari falsi legati alle nozze oltre la violazione delle leggi sull’immigrazione. Certo: sposarsi, è notorio, costa assai. Ma uno degli aspiranti era giunto a sborsare fino a 17 mila euro per il fatidico sì. Che poi, ora lo sappiamo, era un sì al permesso di soggiorno.

Andrea Colombari