Matteo Cagnoni, il processo. "La furia omicida concentrata sulla testa"

In aula i medici legali. Sull’ora della morte è battaglia, la difesa contesta esame caffeina. "Non c’eravamo"

BASTONE INSANGUINATOC6UN_WEB

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Ravenna, 10 febbraio 2018 - 'Possiamo dire che la furia omicida si è concentrata sulla testa?’. «Assolutamente sì». I medici legali che hanno eseguito l’autopsia sul corpo di Giulia – Franco Tagliaro e la collega Federica Bortolotti –, confermano quella per il Pm Cristina D’Aniello era una certezza che i video mostrati in aula hanno reso granitica da subito: un volto cancellato, invece è integro il corpo nudo, supino a terra. La Procura utilizza questa frase, furia omicida, non a caso. In ballo c’è tantissimo, l’aggravante della crudeltà: il grimaldello giuridico, assieme alla premeditazione, per ottenere l’ergastolo oltre alla (eventuale) condanna.

Giulia ha ricevuto «almeno sette colpi» alla testa che le hanno provocato diverse fratture, traumi importanti eppure non letali. Si è spenta soffocata dal suo sangue, «dopo un periodo di collasso e agonia da stimare fino a un’ora». Un processo «di lenta insufficienza cardiorespiratoria che l’ha portata alla morte». Altro tassello della crudeltà. Cioè l’imputato, medico, se si fosse ravveduto per tempo avrebbe potuto salvarla.

Sul corpo, e sulle braccia in particolare, diverse lesioni da difesa passiva. Secondo la ricostruzione medico legale, Giulia ha ricevuto i primi colpi – compatibili col bastone insanguinato rinvenuto sul ballatoio – sulla parte posteriore della testa. Dunque è stata colpita di spalle? Nessuna certezza, spiega Tagliaro, cui l’esperienza suggerisce che situazioni questo tipo possono essere «dinamiche, momenti in cui la vittima si trova davanti e altri in cui è dietro» all’aggressore. Sul corpo, in particolare sui dorsi delle mani e sui gomiti, furono riscontrate numerose «ecchimosi importanti da difesa passiva», istinto tipico di chi tenta di proteggersi il volto frapponendo le braccia incrociate.

Riguardo al collegamento che la Procura fa tra la fede al dito ovalizzata e il bracciolo rotto, a riprova della violenza del colpo, l’ipotesi «pur ragionevole» è ritenuta improbabile perché avrebbe prodotto sul quel dito una frattura da schiacciamento, non riscontrata. Parte delle lesioni sul corpo, incluse tre costole fratturate all’altezza del braccio sinistro, potrebbero essere compatibili con l’azione di trascinamento, altro elemento della crudeltà. Più difficilmente, spiega Tagliaro, si possono ricondurre quelle alla nuca al trascinamento giù per le scale, perché «un corpo vigile per istinto si protegge e inclina la testa». E in quel momento, dopo le bastonate sul ballatoio, Giulia sarebbe stata soltanto tramortita.

Ma la vera battaglia che si ripropone in aula è quella sull’ora della morte, che la Procura colloca il venerdì a metà mattina. In aula Giampiero Baldini, il medico legale intervenuto la notte di lunedì 19, conferma in base all’unico dato utile in quel momento, cioè la rigidità cadaverica, che questa risaliva a 72 ore prima. Ipotizzò da subito l’utilizzo di un bastone, ritrovato sul ballatoio, poi il fulcro dell’azione omicidiaria contro lo spigolo del muro, le due fasi dell’ipotesi accusatoria. Ma a fissare l’orario è anche la presenza di caffeina nel corpo – peraltro in quantità compatibile col grado di assorbimento dello stomaco che «si svuota in tre ore» –, in quanto nel video al bar Le Plaisir Giulia prende un caffè.

Qui difesa e Procura si azzuffano... giuridicamente. Il prelievo di campione dal succo gastrico fu fatto in incidente probatorio, cioè in presenza delle parti, contestualmente all’autopsia. Campione conservato a -18 gradi, spiega Tagliaro. Ma l’esame fu successivo e la consulente della difesa, Elia Del Borrello, non vi assistette. Ricevette l’esito via ‘pec’ il 23 febbraio 2017. Il 20 si era recata dai consulenti della Procura, di quell’esame non seppe nulla. Dunque fu fatto nei tre gironi successivi. Tutto in regola, per la Procura, dato che da giurisprudenza consolidata solo il prelievo va effettuato in presenza delle parti, nessun obbligo di informarle per le fasi successive.

Non così per l’avvocato Giovanni Trombini, che vorrebbe ascoltare il medico del laboratorio che materialmente lo effettuò, facendo intendere di non fidarsi della versione ufficiale. Esame che, dice il Pm D’Aniello, volendo si può ripetere in quanto il campione è ancora presente in laboratorio. La consulente della difesa, inoltre, ricevendo quell’esito non inviò repliche né censure.

Lorenzo Priviato