Maxi incendio alla Lotras, tutto archiviato Il pm: dalle investigazioni non è emerso nulla

Via libera alla richiesta dal Gip. Il fascicolo sul rogo del 2019 vedeva un solo indagato, un responsabile della società

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Dalle intercettazioni "non è emerso alcunché di utile". La consulenza tecnica della procura "non ha consentito di individuare le cause dell’incendio". E la perizia del tribunale "non è comunque andata molto oltre nella comprensione dell’accaduto". In definitiva tutti i percorsi investigativi intrapresi, "non hanno fornito alcun risultato pratico". Ecco la sintesi: per l’incendio alla Lotras si archivia. Una scelta caldeggiata dallo stesso pm titolare del fascicolo Antonio Vincenzo Bartolozzi e alla quale, più di recente, si è aggiunto il via libera del gip Janos Barlotti per "le condivisibili ragioni indicate nella richiesta", si legge nel documento.

Il rogo che aveva devastato l’edificio che in via Deruta a Faenza ospitava la Lotras System srl (22 mila metri quadri), si era innescato la notte tra l’8 e il 9 agosto 2019. Le fiamme avevano inoltre interessato l’area circostante compreso un traliccio dell’alta tensione sprigionando fumi di possibile natura nociva tra formaldeide e diossina. Un pericolo dunque per la salute pubblica e per l’ambiente: i vigili del Fuoco si erano adoperati per quattro giorni interi per lo spegnimento. Il pm aveva poi iscritto sul registro degli indagati il nome di un 69enne foggiano, figura apicale della srl.

L’ultimo passaggio del caso in tribunale risale al 29 marzo scorso quando, in incidente probatorio, le parti si erano ritrovate davanti al gip per discutere le conclusioni della perizia. Oltre ai legali dell’unico indagato – difeso dagli avvocati Michele Curtotti e Roberto Roccari –, erano presenti gli avvocati Mauro Brighi e Valentina Fussi per l’assicurazione della Lotras e l’avvocato Carlo Benini per una delle ditte che dentro al capannone aveva stoccato alcuni materiali. In quell’occasione gli esperti incaricati dal tribunale avevano parlato di origine dolosa dell’incendio con la presenza di composti legati alla combustione della benzina – cioè non alla semplice contaminazione da evaporazione - rinvenuti in più campioni sebbene analizzati a diverso tempo dai fatti. Ma avevano anche chiarito che era impossibile stabilire come mai il sistema antincendio non avesse funzionato: tuttavia, alla luce dell’impressionante velocità di propagazione delle fiamme, della presenza di più inneschi e delle dimensioni della struttura, qualunque impianto antincendio, anche se attivo, non avrebbe potuto impedire l’evento anche perché sarebbero stati necessari centinaia di migliaia di litri di schiuma per estinguerlo.

Il pm nella sua richiesta ha sottolineato che l’addetto della ditta Tecnoalarm aveva riferito di più allarmi anti-intrusione: all’1.03 e all’1.12 di quel 9 agosto. Sempre il pm ha ricordato che già all’1.17 le fiamme erano alte. Da subito insomma "erano emerse serie perplessità circa la natura esclusivamente accidentale dell’evento".

Si pensava insomma che qualcuno potesse "trarne consistenti vantaggi assicurativi" oppure "all’opposto che fosse azione ritorsiva contro il titolare" o "contro qualcuno dei numerosi imprenditori che stoccavano i propri beni" là dentro. Ovvero una azione "successiva a richieste estorsive rifiutate". Ma dall’ascolto dei telefonini non era venuto fuori nulla. E la consulenza iniziale non aveva chiarito se si fosse trattato di rogo "doloso, colposo o accidentale" mettendo in luce "un’unica precisazione di rilievo: l’antincendio non era entrato in funzione". In quanto all’incidente probatorio, "anche se ha escluso l’accidentalità dell’evento", non è "andato molto oltre nella comprensione dell’accaduto".

Circa l’indagato, "non è possibile ascrivergli - nemmeno in concorso con altri - la paternità del gesto incendiario" dato che "l’unico elemento a suo carico, peraltro non univoco, può consistere in benefici risarcitori": non c’è però nessun fatto o documento "a corroborate tale ipotesi". E se invece altri avessero voluto danneggiare l’indagato o qualcun altro che operava là dentro, allora per il 69enne restava solo da valutare l’ipotesi di "reati colposi in materia ambientale". Ma anche questo fronte è naufragato dato che "non è stato possibile attribuire nulla all’indagato" tanto più che nemmeno si sa perché quella notte il sistema anti-incendio non entrò in funzione.

Andrea Colombari