Ravenna, medici condannati: paziente uccisa dai troppi farmaci

Otto e sei mesi per due dottori della Domus Nova. Per errore fecero assumere a un’anziana paziente 39 compresse anziché le 3 prescritte

La casa di cura Domus Nova

La casa di cura Domus Nova

Ravenna, 11 novembre 2021 - Per 13 giorni, dal 26 aprile all’8 maggio 2018, a un’anziana paziente, poi morta, fu somministrata quotidianamente la dose di un farmaco che doveva invece assumere in una settimana. Un dosaggio incongruo, non previsto da nessun quadro morboso. Questo aveva accertato la perizia medico-legale disposta a Ravenna nell’ambito del processo per omicidio colposo a tre medici della ‘Domus Nova’ di Ravenna, chiamati a rispondere dal pm Cristina D’Aniello della morte, l’11 maggio 2018, di una donna di 81 anni.

Difesi dall’avvocato Giovanni Scudellari, avevano scelto il rito abbreviato due medici dell’Unità di degenza specialistica della clinica privata, un dottore di 76 e una dottoressa di 36 anni, ieri condannati dal Gip Andrea Galanti a 8 e 6 mesi; mentre una terza dottoressa, 48enne – tutelata dall’avvocato Stefano Dalla Valle – è stata rinviata a giudizio e ha scelto il processo davanti al tribunale monocratico. Il giudice ha inoltre disposto la trasmissione degli atti alla Procura perché valuti le posizioni del primario del reparto, del direttore sanitario e di alcune infermiere che ebbero in cura la paziente, concorrendo nell’errore fatale. L’anziana era stata ricoverata il 25 aprile, affetta da un’infezione urinaria e da una sospetta frattura sacrale. I familiari erano parte civile con l’avvocato Chiara Rinaldi.

Secondo l’accusa i tre medici avrebbero "disatteso clamorosamente" le prescrizioni terapeutiche domiciliari già indicate nei tempi di somministrazione e nei dosaggi dal medico curante, prima dell’ospedalizzazione per curare un’artrite reumatoide. Alla degente furono così somministrate dosi massicce di ’Methotrexate 2,5 mg’: anziché tre compresse a settimana, tre al dì per 13 giorni, cioè un totale di 39. La perizia della professoressa Federica Bortolotti, depositata al gup Galanti, individuava un grossolano errore del medico di guardia (quello ancora da sottoporre a giudizio) che il 25 aprile fece la prima prescrizione terapeutica, senza considerare la posologia domiciliare e segnalare evidenti criticità nella gestione terapeutica e nel percorso diagnostico che ha condotto alla individuazione della tossicità.

Il perito evidenziava anche l’omissione degli infermieri che non valutarono come sbagliata la prescrizione, segnalando la condotta dei medici che seguirono il caso dall’5 all’8 maggio, senza rivalutare clinicamente la paziente, nonostante la variazione del quadro clinico.

Già in corso di indagine era stata disposta una prima perizia, che arrivò a conclusioni leggermente diverse, sulle quali faceva leva la difesa dei due medici. Anzitutto, secondo l’avvocato Scudellari, non loro furono gli autori di quella prescrizione sbagliata ma il medico di guardia. Secondo il primo perito, inoltre, premesso che il personale sanitario avrebbe dovuto accorgersi che la donna non stava bene a causa di quelle somministrazioni in eccesso, il 5 maggio la situazione era già compromessa e i due imputati la visitarono il 7 e l’8, quindi non vi era nesso causale. Il secondo perito ha invece sostenuto che fino al 9 la paziente si sarebbe potuta salvare. In piedi c’è anche una causa civile.