Ravenna: morte del medico di base Danilo Molducci, figlio e badante accusati di omicidio

Fine indagine per l’inchiesta su Danilo Molducci. Una storia fatta di farmaci, ricette false e prelievi al bancomat

A sinistra la Danilo Molducci, morto a 67 anni a maggio 2021. A destra il figlio Stefano

A sinistra la Danilo Molducci, morto a 67 anni a maggio 2021. A destra il figlio Stefano

Ravenna, 26 novembre 2022 - La morte dello storico medico del paese, un cospicuo patrimonio in ballo, diverse ricette per psicofarmaci vergate da altre mani. E perfino un investigatore privato ingaggiato nella lontana Trento con il quale il defunto avrebbe dovuto parlare giusto a ridosso della sua dipartita. Un giallo cresciuto all’ombra di Campiano, frazione di campagna con meno di 900 anime a una dozzina di chilometri da Ravenna, che nelle ultime ore negli avvisi di conclusione indagine della Procura, ha assunto la dimensione dell’omicidio pluriaggravato: dalla premeditazione, dai motivi abbietti e dalla relazione parentale.

Sì, perché per il decesso a 67 anni di Danilo Molducci, avvenuto il 28 maggio 2021, sotto accusa c’è anche il figlio, il 40enne Stefano Molducci di Terra del Sole, esperto di trading e in passato segretario del Pd di Castrocaro. Assieme lui in concorso deve rispondere dell’accaduto pure la badante del defunto, la 52enne romena Elena Vasi Susma.

Le verifiche della polizia corroborate dagli accertamenti patrimoniali delle Fiamme Gialle e da varie consulenze tecniche, hanno portato il Pm Angela Scorza a ritagliare un ruolo da pianificatore per il 40enne e da esecutrice per la 52enne. I due insomma – sostiene l’accusa – avrebbero progressivamente intossicato il 67enne con un mix di due tipi di farmaci camminando lungo il filo teso del sovradosaggio. Del resto il medico, da tempo in pensione, era sofferente, allettato, iperteso e sovrappeso: assumeva cioè medicinali per alleviare le sue pene.

Il figlio, in passato studente di medicina, di sicuro sapeva della precarietà della sua condizione: e così, sempre secondo il Pm, si era concentrato sui farmaci che il padre di solito prendeva lasciando poi alla badante il compito di somministrare quel di più necessario. Una conclusione che per ora cammina su ipotesi aritmetiche: i risultanti della consulenza tossicologica hanno restituito concentrazioni di diazepan e nordiazepan (benzodiazepine) nel sangue del 67enne, pari a 3 e a 7 volte quelle post-mortali normalmente attese.

Inoltre l’amlopidina, medicinale usato per trattare problemi cardiaci, ha palesato una concentrazione nel contenuto gastrico tra 4 e 16 volte superiore al range terapeutico. In generale l’effetto tossico combinato dei due farmaci è devastante, specie in una persona già provata da patologie. Un quadro distante anni luce da quello che si era manifestato nelle ore successive alla morte del medico di paese.

Era di venerdì e tutto era accaduto in fretta. Il 67enne si era sentito male e la badante aveva provato a chiamare il 118: ma i sanitari al loro arrivo, non avevano potuto fare altro che constatare il decesso. La cosa sembrava canalizzarsi verso l’epilogo di un percorso naturale.

Anzi, tutto pronto per il funerale fino ai primi dubbi degli investigatori della squadra Mobile: la procura aveva bloccato la salma per l’autopsia. Nelle successive verifiche, i particolari perlomeno singolari non erano mancati. A partire dall’investigatore cercato tempo addietro fuori regione dal 67enne per fare luce sulle movimentazioni dal suo patrimonio.

Quando il professionista lo aveva chiamato giusto poco prima del decesso, a rispondergli era stata la badante: in quel momento il medico non poteva parlare perché stava riposando, meglio richiamare. E così aveva fatto: ma a rispondergli questa volta era stato il figlio del 67enne per dirgli che il padre era appena morto. Chissà, forse solo coincidenze con spiegazioni logiche alla portata.

Come il fatto che per alcune ricette di benzodiazepine, sia stata rilevata compatibilità con la grafia dei due indagati.

L’ultimo sussulto di questo giallo di periferia è però arrivato dai conti da cui è emerso che a ridosso della morte del padre, il 40enne aveva prelevato tra i 40 e i 50mila euro. E che nei 4-5 mesi successivi, aveva preso circa 450mila euro. Tutti dal bancomat in una sorta di ‘pellegrinaggio’ quotidiano per prelevare sotto ai mille euro, la soglia di allerta.