CARLO RAGGI
Cronaca

Memorie dal sottosuolo: "Per gli archeologi ci sarà sempre lavoro. E ai giovani piace"

Paola Novara, autrice di numerosi libri, tre lauree e un dottorato "Mi bastava toccare un frammento per capire a che epoca risaliva. L’intelligenza artificiale non potrà mai sostituirci" .

Memorie dal sottosuolo: "Per gli archeologi ci sarà sempre lavoro. E ai giovani piace"
Memorie dal sottosuolo: "Per gli archeologi ci sarà sempre lavoro. E ai giovani piace"

Ha scritto una quindicina di libri, sull’archeologia ravennate e romagnola, e altrettanti ne ha curato, gli articoli scientifici e i saggi storici sono quasi trecento, una produzione impressionante, unica per Ravenna; per dieci anni ha lavorato negli scavi archeologici fra Ravenna e Bologna, quando ancora i frammenti si annusavano e si palpavano per comprenderne la storia. Per Paola Novara, ravennate purosangue, tre lauree e un dottorato, l’archeologia è una branca della conoscenza umana che mai potrà essere sostituita dall’Intelligenza artificiale. E’ stata pioniera in Italia nelle perizie per le ristrutturazioni dei caseggiati storici e per i siti in cui devono essere aperti cantieri e ha semplificato la strada alle Soprintendenze, agli enti locali, ai privati proprietari per conoscere in anticipo le sorprese che i lavori riserveranno. Appassionata lettrice anche di gialli, Paola Novara è passata dall’archeologia sul campo ai lavori interni alla Soprintendenza, a quelli in Classense e infine è approdata al Museo Nazionale, un gioiello con pezzi esclusivi, ma pressoché fuori dal circuito del grande pubblico.

Secondo lei l’archeologia, lo studio dell’antico continueranno a suscitare interesse fra i giovani?

"Certo, basta considerare come siano fioriti i corsi di laurea specialistici in materia. Quarant’anni fa, quando mi iscrissi all’università, c’era solo qualche piccolo esame di archeologia. Pensi che la mia prima laurea fu in Storia medievale, con una tesi sull’archeologia cristiana, e la facoltà era di Lettere. Oggi è tutto diverso, a cominciare dall’esperienza sul campo...".

Nel senso di partecipazione agli scavi?

"Esattamente. All’epoca lo studente studiava, non lo mandavano negli scavi. E poi pensi che negli anni 80 si scavava solo a Pompei o in Grecia. Io ad esempio ho scavato per un anno a Creta. Oggi ci sono scavi ovunque, pensi solo, tanto per rimanere in tema, a Pompei e i giovani sono molti interessati anche perché le prospettive di lavoro offerte dal settore sono molteplici".

Negli anni è cresciuta anche la divulgazione, con pubblicazioni e trasmissioni tv.

"E dietro a questo tipo di divulgazione c’è grande ricerca scientifica. C’è una generazione di storici e divulgatori importantissima, penso ad esempio alla storica Chiara Frugoni e Piero Angela, purtroppo scomparsi e ad Alberto Angela, autori che hanno un seguito enorme, perché è sempre più diffusa la necessità culturale di conoscenze di qualità".

Torneremo dopo sulle prospettive di lavoro, adesso mi dica di lei.

"Sono andata a scuola alla ’Drago Mazzini’ di via Aquileia, ricordo con piacere la maestra, Eugenia Ranuzzi, poi alle medie ‘Mario Montanari’: lì veramente conobbi la povertà…dei bambini e delle loro famiglie. Un grande insegnamento di vita. Per tornare a me, pensi che la mamma aveva attrezzato in casa una biblioteca con libri per me ancor prima che nascessi…! E ci mise anche libri di scienze e di storia".

E lei quando cominciò a leggerli?

"Prestissimo, appena imparai. Leggevo e disegnavo, mi piaceva stare da sola…ricordo che a 11 anni con la paghetta comperavo i gialli Mondadori, una passione che ho ancora, e che a 13 anni entrai per la prima volta alla biblioteca Classense"..

Pur essendosi diplomata allo Scientifico, all’Università predilesse materie umanistiche!

"Sì, l’interesse per la storia, la filosofia si era sviluppata proprio al liceo e cos mi iscrissi alla facoltà di lettere, indirizzo di storia medioevale, con la prospettiva proprio di fare l’archeologa. Mi laureai con una tesi sui simboli del potere nell’arte paleocristiana. Era il dicembre 1984".

E quando partecipò al primo scavo?

"Pochi mesi dopo. Entrai a far parte di una cooperativa bolognese di archeologi. Ci sono rimasta per dieci anni e ho fatto scavi un po’ ovunque dal Bolognese alla Romagna. A Ravenna ho lavorato agli scavi di Santa Croce e soprattutto a Classe, al podere Chiavichetta…".

Erano gli anni in cui alla Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna c’era la lughese Giovanna Bermond Montanari…

"C’era proprio lei era e anche un’altra ravennate, Maria Grazia Maioli, mentre alla Soprintendenza ravennate c’era l’architetto Zurli. Fu una lunga campagna di scavi nel corso dei quali abbiamo portato alla luce quanto ora può ammirarsi. Io lavoravo alla zona del porto, nell’area in cui emerse la strada basolata diventata un po’ il marchio di quegli scavi…"

Che peraltro erano stati avviati negli anni 60 da pionieri come l’ingegnere Arnaldo Roncuzzi…

"Esattamente, fu l’aerofotografia a evidenziare che in quell’area doveva esserci ‘qualcosa’. Quando lavoravo io si operava anche nelle fogne, le svuotavamo recuperando un sacco di materiale di scarto. Il nostro obiettivo era quello di dare una cronologia alle scoperte. Ore e ore in ginocchio con la cazzuola e il pennello in mano…a me bastava toccare un frammento per capire a che epoca appartenesse, c’era a quei tempi chi addirittura capiva i frammenti leccandoli!".

Lei diceva che per l’archeologo ci sarà sempre lavoro…

"Oh sì. Oltre all’aspetto culturale, c’è quello turistico, guardi solo Pompei…E poi stia certo che l’intelligenza artificiale non potrà mai fare né questo lavoro, né gli studi connessi. L’attività di ricerca seguendo un singolo frammento è fatta di intuizioni, di ‘invenzioni’ e solo un cervello umano ‘inventa’. E al di fuori degli scavi penso, ad esempio, all’attività di studio preventivo e di controllo dei cantieri in zone storicamente sensibili: oggi a seguire i lavori c’è sempre un archeologo".

E dopo l’archeologia?

"Parallelamente agli scavi già scrivevo, articoli scientifici sullo studio di frammenti, reperti, decorazioni, nel ‘95 ho scritto il primo libro su alcuni elementi decorativi in laterizio che ora sono al Museo Nazionale e che appartengono all’antica chiesa di Sant’Adalberto in Pereo, ovvero S.Alberto, di cui non si ha altra traccia; nel ‘97 ho conseguito il dottorato di ricerca in archeologia e ho scritto altri due importanti libri, editi da Danilo Montanari, sul Duomo e sulla Storia delle scoperte archeologiche di Ravenna e Classe".

A proposito di libri, la sua è una produzione immensa.

"Fra scritti e curati sono 37. E’ in uscita l’ultimo, con il ‘Ponte Vecchio’, sulle cento chiese di Ravenna".

Poi è entrata alla Classense.

"Nel 2000 su concorso. Fino al 2009 quando sono passata in Soprintendenza, dove sono rimasta sei anni e ho così potuto mettere a frutto la terza laurea, in Beni Ambientali e Culturali e la mia specializzazione in archivistica. Infine dalla Soprintendenza sono passata al Museo Nazionale. E intanto continuo a scrivere e a tenere conferenze un po’ ovunque, eccetto le sedi istituzionali, non mi amano…".

Un museo zeppo di storia, di pezzi anche unici, ma, mi sembra, poco visitato…

"Occorre tempo, i turisti non ne hanno, quindi restano gli appassionati e gli studiosi…posso aggiungere una cosa?"

Certo.

"Io e mio marito abbiamo migliaia di libri e documenti, ma non sappiamo a chi lasciarli…"