Metadone fatale a ‘Balla’ Al via il processo

L’amica del giovane, la zia della ragazza e una dottoressa devono rispondere di falso, violazione della legge sugli stupefacenti e peculato

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È partito ieri mattina davanti al collegio penale del tribunale composto dai giudici Antonella Guidomei, Natalia Finzi e Andrea Chibelli, il processo nato nel contesto delle indagini sulla morte di Matteo ‘Balla’ Ballardini, lo studente 19enne di Lugo deceduto per overdose dopo ore di agonia il 12 aprile 2017 nella sua auto lasciata parcheggiata dai quattro giovani che erano con lui la notte precedente. Sotto accusa ci sono tre donne chiamate a rispondere a vario titolo e in concorso di falso, violazione della legge sugli stupefacenti e peculato di metadone. L’oppioide sintetico era stato trovato sulla scena del crimine dagli inquirenti nella misura di due bottigliette: una vuota e l’altra consumata per metà. Sulla sua provenienza, si erano concentrate le indagini della polizia coordinate dal pm Marilù Gattelli, le stesse che hanno portato a processo Beatrice ‘Bea’ Marani, la 23enne di Lavezzola tutt’ora in una comunità di recupero e accusata di avere materialmente passato la dose fatale al 19enne; Cosetta Marani, 68 anni, nata a Lugo ma residente a Ravenna, zia della ragazza e già responsabile di settore formativo infermieristico all’Ausl di Imola (come la prima, difesa dall’avvocato Fabrizio Capucci); e Monica Venturini, 64 anni, originaria di Alfonsine, medico psichiatra del Sert di Ravenna, città nella quale abita (avvocati Alessandra Marinelli e Sandra Vannucci). Ieri mattina, alla presenza di tutti i legali (assenti le imputate Beatrice e Cosetta Marani), è stata ammessa la lista dei testimoni da ascoltare a partire dalla prossima udienza fissata per metà settembre. Ieri era presente anche l’avvocato Valerio Girani dell’Ausl Romagna, già costituitasi parte civile solo nei confronti della dottoressa in occasione dell’udienza preliminare.

Le difese prima prima del rinvio a giudizio avevano chiesto il non luogo procedere lamentando, in sintesi, una mancata aderenza tra i fatti e il capo d’imputazione ed escludendo qualsiasi forma di favoritismo nella consegna del metadone alla giovane Marani. Le verifiche della squadra Mobile per capire da dove fosse giunto il metadone, erano partite dall’etichetta delle bottigliette trovate nell’auto di Balla: la scritta in particolare aveva da subito rivelato che si trattava di materiale uscito dal Sert di Ravenna. Eppure dalle prime verifiche – secondo l’accusa – non risultava alcuna posizione aperta a nome della 23enne. Dopo un paio di settimane, era emerso che quella formula di estremo anonimato non solo era solo verso l’esterno, ma che, in una sorta di favoritismo, sarebbe stata usata pure all’interno del centro. Una circostanza ritenuta da subito sospetta: tanto più che dal novembre 2016 e fino all’11 aprile 2017, la notte in cui Bea passò la dose letale a Balla, la ragazza avrebbe gestito qualcosa come 9.650 mg di metadone: ovvero in pochi mesi aveva avuto per le mani tra le 480 e le 960 dosi.