Milano Marittima, tutti accalcati attorno all’oasi

Folla di giovani sabato sera: molti senza mascherina assembrati sulle transenne che dovrebbero regolamentare la movida

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La settimana scorsa c’erano state le risse, le denunce, i controlli, due locali chiusi e anche un giovane filmato dagli amici mentre entrava indisturbato su un’auto della polizia locale lasciata parcheggiata con le quattro frecce. Movida molesta a Milano Marittima, così è stata ribattezzata. E sabato sera, la movida in centro non si è fatta attendere: la zona attorno all’‘oasi’, individuata dal Comune tra le vie Milano e Romagna, anche questo sabato si presentava come un grande assembramento. Andiamo con ordine. Sabato sera abbiamo fatto un giro nella movida di Milano Marittima. Già arrivarci non è facile: il traffico ci fa subito capire che non c’è tanta gente quanta ce n’era solitamente in un sabato sera pre-Covid, ce n’è molta di più. Per strada le auto fanno la fila e sono dirette tutte nello stesso posto. Al nostro arrivo verso le 21 tentiamo anche di cenare, ma invano: fuori da tutti i ristoranti ci sono file lunghissime. Giriamo e telefoniamo in più posti, e in diversi casi ci viene risposto che il tempo di attesa per sedersi e mangiare è di oltre un’ora. Più tardi, quando l’ora di cena diventa quella di un drink, nel cuore di Milano Marittima trovare parcheggio è letteralmente impossibile: lasciamo l’auto a Cervia e percorriamo oltre un chilometro per raggiungere il cuore della movida. Sono le 23.30 quando ci presentiamo in via Milano, e man mano che ci avviciniamo ci accorgiamo che sembra una serata pre-Covid. Per la strada risuona l’eco dei brindisi e dei cori che provengono da un locale del centro, dove più d’uno sta festeggiando. L’obiettivo della folla che ci circonda è anche il nostro: entrare nell’oasi, a cui si accede dai tre ingressi monitorati dagli steward: uno è all’incrocio tra viale Romagna e via Milano, un altro all’incrocio tra viale Romagna e viale Gramsci e l’ultimo in via Milano lato incrocio vialetto Venezia. Fuori da ogni ingresso c’è un cartello che non legge nessuno, coperto da una foresta di gambe, dice, tra le altre cose, che occorre mantenere la distanza interpersonale di un metro, indossare la mascherina e attendere il proprio turno all’ingresso "rispettando le misure di sicurezza e ascoltando le indicazioni degli steward".

La realtà è ben diversa. Ciò che ci si para davanti è un magma di persone appiccicate l’una all’altra che spingono per entrare, attaccate alle transenne. Ben presto anche noi ne siamo parte, e la sensazione è quella di stare a un concerto: la persona davanti a me è a 10 centimetri, e se proviamo a tenere le distanze subito ci passano davanti. La persona dietro, invece, è così vicina che sento la sua borsa contro la mia schiena. Capto alcuni discorsi, qualcuno impreca: "Ma tanto cosa cambia". Almeno un ragazzo su tre attorno non indossa la mascherina. L’impressione è che questa barriera, a cui tutti si aggrappano ammassati, faccia più male che bene nel tenere le persone distanziate. Dopo qualche minuto qualcuno esce, e allora gli steward lasciano entrare un gruppetto di persone: "Non spingete" dicono, ma è inutile. La calca inizia a muoversi proprio come quando si aprono i cancelli ai concerti. Tutti cercano di infilarsi, la mia amica mi prende per mano per evitare di perderci. Dentro all’oasi si respira: c’è gente, tanta senza mascherina, ma è più facile stare distanziati. Qualcuno nel frattempo cerca di entrare spostando una transenna laterale, ma l’occhio dello steward è più veloce: lo vede, corre da lui e lo fa uscire di nuovo.

Proviamo a chiedere a qualcuno tra coloro che regolano gli accessi come va, e ci sentiamo rispondere che è "tutto sotto controllo": eppure non sembrerebbe. In giro ci sono anche gli agenti della polizia locale servizio Viabilità, ma gli assembramenti sono tali che ci vorrebbero più di un pugno di uomini per gestire tutte queste persone. Usciamo nuovamente dall’oasi e incrociamo un ragazzo che cerca di entrare con gli amici e dice: "Io la mascherina non me la metto, non me ne frega nienye". Ci dirigiamo in viale Romagna per vedere com’è la situazione fuori dal triangolo di strade ad accesso limitato. Ai piedi della scala di accesso ad alcuni locali al primo piano di un complesso commerciale i ragazzi sono tutti ammassati: a regolare la situazione c’è uno steward che, nel momento in cui siamo passati, aveva la mascherina abbassata sotto al mento. Nella serata di sabato, almeno fino all’1 di notte, non si sono registrate risse e la maggior parte dei ragazzi appariva sobria. Ma qui basterebbe un contagiato per accendere Milano Marittima.

Sara Servadei