Omicidio Minguzzi, dal Dna nessuna traccia

Omicidio irrisolto: depositati i risultati della consulenza medico-legale

LA GRATA Il 21enne fu soffocato, legato a una grata di una stalla e gettato nel Po

LA GRATA Il 21enne fu soffocato, legato a una grata di una stalla e gettato nel Po

Ravenna, 29 giugno 2019 - Pier Paolo Minguzzi, carabiniere 21enne di leva a Mesola, nel Ferrarese, sequestrato la notte del 21 aprile del 1987 nella sua Alfonsine e ucciso poco dopo, è stato strangolato e gettato nel Po di Volano solo dopo la morte. La conferma ufficiale arriva dalle conclusioni della consulenza medico-legale e genetica affidata a Giovanni Pierucci e Carlo Previderè. La parte centrale della relazione, riguarda tuttavia i frammenti organici prelevati dopo la riesumazione della salma del giovane.

L’obiettivo era quello di comparare il Dna estrapolato con quello dei tre principali indagati: Orazio Tasca, 54enne di origine siciliana ma da tempo residente a Pavia (avvocato Luca Orsini); Angelo Del Dotto, 55enne di Ascoli e come il primo all’epoca dei fatti carabiniere ad Alfonsine (avvocato Armando Giuliani). E infine l’idraulico 62enne alfonsinese Alfredo Tarroni (avvocato Massimo Martini).

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Gli accertamenti sul materiale genetico, non hanno però dato gli esiti auspicati. Molti dei profili tracciati, si legge nelle parti finali della consulenza, sono risultati «così parziali e di bassa qualità da non essere considerati idonei a comparazioni». Inoltre i profili genetici ritenuti idonei alla comparazione con altri Dna, pur confrontati con quelli degli indagati, non hanno generato nessuna coincidenza. Insomma, scrivono Pierucci e Previderè, in nessun caso i reperti prelevati da sotto le unghie del militare hanno fornito «un supporto statico all’ipotesi che i tre indagati abbiano contribuito a originare i profili genetici ottenuti» dall’analisi dei campioni.

Medico legale e genetista precisano poi come le tracce genetiche diverse da quelle della vittima, abbiano mostrato una «scarsa ripetibilità e riproducibilità», anche a causa del tanto tempo trascorso e dalle condizioni in cui versavano i resti di Minguzzi. In buona sostanza, anche se quelle tracce nascondessero elementi utili per risalire alla verità, non potrebbero rivelarla a causa dell’eccessivo deterioramento. La conclusione è che in nessuno dei campioni di Dna prelevati, sono state individuate caratteristiche tali da collegarli «con certezza» a soggetti diversi dalla vittima.

L’ultimo passaggio, è dedicato alle cause della morte. Ovvero strangolamento con un laccio (le lesioni sul collo, secondo il medico legale, sono «vitali», cioè praticate quando Pier Paolo era ancora vivo) avvenuto in un momento «molto ravvicinato» rispetto a quello della scomparsa. Le indagini, riaperte a trentuno anni dal delitto dalla Procura di Ravenna, dovranno ora riprendere da questo nuovo punto fermo. Sul registro degli indagati figura il nome di un altro ex carabiniere: un ultracinquantenne residente nel Ferrarese e all’epoca collega della vittima. I familiari del 21enne, assistiti dagli avvocati Luca Canella e Paolo Cristofori, non si arrendono.