"Monte Tondo, salvate la Vena del gesso"

In duecento giovedì sera all’incontro organizzato dalla Federazione regionale speleologi contro l’ampliamento della cava a Casola Valsenio.

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Un pubblico di duecento persone ha assistito giovedì sera al primo appuntamento pubblico organizzato dagli speleologi in opposizione al progetto di ampliamento della cava di Monte Tondo, proposto dalla multinazionale Saint-Gobain. E’ il primo capitolo di una battaglia che la Federazione regionale speleologica – presente ieri con il presidente Massimo Ercolani e il suo vice Piero Lucci – intende portare avanti su tutti i tavoli possibili: "In Regione, Provincia, Comuni, Soprintendenza, Arpae, Ente parco – hanno ribadito Ercolani e Lucci –. Monte Tondo non deve essere distrutto".

Gli speleologi hanno virtualmente accompagnato i presenti nell’intrico di grotte e gallerie che solcano il ventre di Monte Tondo, il colle a est di Borgo Rivola. Superiore ai dieci chilometri totali l’estensione conosciuta delle prime, spesso larghe poche decine di centimetri di diametro, scavate in milioni di anni dall’azione dell’acqua attraverso il gesso; venti chilometri le seconde, dalle dimensioni tali da poter essere attraversate facilmente da camion carichi di gesso e materiale di scarto, accumulato accanto alla cava. "Pietra che a livello commerciale non avrà alcun valore", ha sentenziato Ercolani, "ma che per noi è semplicemente ambiente". Negli ultimi sessant’anni le gallerie di cava hanno progressivamente divorato il cuore di Monte Tondo, facendo sparire molte grotte. "E altre ne spariranno se l’ampliamento sarà approvato". Per quanto riguarda il danno ecologico, "rischierebbero di essere vanificati gli sforzi fatti dai biologi per reintrodurre la felce Asplenium sagittatum, estintasi dalla grotta del Re Tiberio ma che ha cominciato a ripopolare altre cavità", ha puntualizzato Piero Lucci, mentre andrebbe a ridursi anche l’areale di molte specie di chirotteri, che nella Vena hanno uno dei loro più importanti santuari italiani. La presenza delle gallerie ha del resto rivoluzionato l’idrologia sotterranea di Monte Tondo: "Le acque sono state deviate, andando così a modificare o a interrompere la formazione delle grotte". Minacce da cui a fine anni ‘50 mise in guardia anche Pietro Zangheri, il più grande naturalista romagnolo, "con parole durissime, pronunciate in un passato che assomiglia ancora troppo al presente", hanno fatto notare gli speleologi. Eppure da allora la sensibilità nei confronti della bellezza dei gessi è cambiata, come dimostrato dalla loro candidatura a Patrimonio Unesco, che apparirebbe però fragilissima in caso di via libera ampliamento della cava.

I costi di un ampliamento sarebbero visibili anche sotto il punto di vista puramente fisico e geografico: le foto d’epoca di Monte Tondo – che prima dell’inizio dei lavori di escavazione, cominciati nel ‘59, era alto circa cento metri più di quanto sia ora, hanno puntato i fari su di un frammento di Appennino che non esiste più, su di una vallata irriconoscibile per la quasi totalità dei presenti, in cui Borgo Rivola appariva dominata da un massiccio oggi in buona parte scomparso. Nel 2000, quando fu definito il massimo quantitativo volumetrico estraibile – pari a 4,5 milioni di metri cubi di gesso, ha concluso Ercolani – si pensava che questo avrebbe consentito alla cava di rimanere aperta fino al 2020. "Il ritmo dell’escavazione è però stato molto più lento. Stante quel quantitativo volumetrico, a Monte Tondo sarà possibile estrarre gesso ancora fino al 2030, o più probabilmente fino al 2035. Ci sono insomma i tempi per programmare un futuro occupazionale per la decina di operai cavatori e un piano industriale per lo stabilimento di Casola Valsenio, che impiega circa 80 lavoratori. E’ quello che la politica avrebbe dovuto fare in questi vent’anni, e che non è stato fatto. Per questo è inammissibile che si proponga l’ampliamento".

Filippo Donati