
Giovanni Morgese il giorno della presentazione della sua candidatura
Donati Quando arrivò a Ravenna nel 1990, Giovanni Morgese, oggi al timone della Democrazia Cristiana, non poteva immaginare che un giorno si sarebbe candidato a sindaco di quella che stava per diventare la sua città. "Tutto merito di un incontro con Mauro Bertolino – racconta oggi il candidato classe ‘63 – è stato lui a convincermi a lanciarmi in quest’avventura".
Ha parlato di una ‘occupazione elettorale’, con riferimento alle diciotto liste in lizza per le elezioni, conferma? "Mezzo migliaio di candidati consiglieri, quando in realtà molte liste puntano a far eleggere un candidato nello specifico, o il solo candidato sindaco, mi sembrano oggettivamente un tentativo di monopolizzare gli spazi elettorali. Ci sono liste che in realtà sono associazioni. I cittadini sono comprensibilmente frastornati: il 50% degli amici di mia figlia non sapeva neppure se alle elezioni si votasse fisicamente oppure online. Ma ci rendiamo conto? Di questo dovrebbero interessarsi chi fa politica, non di fare a gara a occupare uno spazio elettorale in più".
Da ex-carabiniere ha adottato un approccio anti-securitario: nel suo programma elettorale la parola chiave è ‘mediazione’. Ci spieghi. "Basta guardarsi intorno: se creiamo povertà, malessere, se perfino in politica trionfa la violenza verbale, ecco che ci troviamo nella situazione in cui siamo. Purtroppo anche chi siede in giunta ha utilizzato linguaggi da bullo, mi tocca evidenziare. Abbiamo bisogno di persone formate che aiutino le persone a parlarsi: vale a scuola, nei luoghi della salute, nelle strade".
Dove cambierebbe di più Ravenna? "Ho proposto di fare della Darsena la sede di una cittadella universitaria, con aule, biblioteche e mense sui due lati del Candiano: sarebbe l’università più bella d’Italia. Ci sono una quantità di spazi ex-industriali che possono essere riconvertiti. Vorrebbe dire avere finalmente una Ravenna che smette di essere deserta già alle 20, nella quale il punto di ritrovo della città è un luogo di istruzione, di cultura".
E per la rimanente maggioranza della popolazione, cioè gli anziani e le persone di mezza età? Ha parlato di ‘volontariato olistico’, giusto? "Immagino luoghi di inclusione in cui gli anziani possano socializzare, fare esercizi, e anche yoga, perché no. Ci sono esperienze di successo, con insiemi di over65 i cui componenti si sostengono l’un l’altro: non mi spingo a proporre di vedere nei parchi di Ravenna gruppi di anziani che fanno tai chi all’alba, ma è tempo di arrivare a immaginare anche qualcosa di simile".
Pressoché tutti i candidati d’opposizione sono concordi nel voler fermare l’avanzata del cemento: eppure i diritti edificatori sono ancora tali da consentire il sorgere quasi di una nuova città. "Se anche fosse vero quel che dice il Pd, cioè il ‘non possiamo fare nulla’, questo non significa che ci si debba rassegnare: se un privato ha i diritti acquisiti per cementificare dieci ettari, il settore pubblico ha il dovere di prendere undici ettari di complessi industriali dismessi e decementificarli. Non ci dicano che non esistono cantieri abbandonati o siti industriali abbandonati a loro stessi".
L’immigrazione dal sud ha regalato a Ravenna sindaci e candidati sindaci: in futuro vedremo amministratori figli di filippini, di ecuadoriani, di ghanesi? "Me lo auguro: l’incontro fra culture arricchisce tutti. A patto che si faccia vera integrazione: non basta assistere un migrante per qualche mese nella speranza che si costruisca una rete e se la cavi poi da solo. Le persone vanno accompagnate, altrimenti si creano ghetti, fragilità".