Morte di Ballardini, tutti assolti: metadone fatale

Ravenna, un medico era accusato di aver favorito, nell’ottenere stupefacenti, l’amica del ragazzo, con l’intermediazione della zia infermiera

Matteo Ballardini aveva 19 anni

Matteo Ballardini aveva 19 anni

Ravenna, 18 marzo 2022 - ​Nuovo colpo di scena sul caso delle responsabilità collegate alle morte per overdose del 19enne lughese Matteo Ballardini. Dopo che in appello le pene per i quattro amici che la notte del 12 aprile 2017 lo lasciarono in auto agonizzante erano state fortemente ridimensionate, con l’accusa cambiata da omicidio volontario a ’morte come conseguenza di altro reato’, ieri si è concluso con tre assoluzioni con formula piena il processo sul metadone all’origine della overdose fatale, dalla quale sono comunque emerse crepe e discrasie nella gestione del Sert di Ravenna.

Per i giudici Cecilia Calandra, Antonella Guidomei e Andrea Chibelli "non sussiste" l’accusa di falso ideologico, per la contraffazione di certificati medici e aver prescritto abusivamente stupefacenti, a carico di Monica Venturini, 65enne medico del Sert, né il supposto concorso di Beatrice Marani (la 25enne di Lavezzola accusata di avere ceduto la dose fatale a ’Balla’) e della zia di quest’ultima, Cosetta Marani, 69 anni, ex responsabile infermieristica a Imola. L’Ausl era parte civile con l’avvocato Valerio Girani.

Il Pm Marilù Gattelli chiedeva 6 anni di condanna per tutte e tre le imputate. Accusava la Venturini di "false prescrizioni" di metadone alla Marani, che ha avuto in cura "senza mai visitarla per quattro mesi in spregio a regole e protocolli". Metadone "che non sarebbe dovuto uscire dal Sert, di cui la Marani, che non lo assumeva per spacciarlo, si vantava di averne ’quantità industriali’", tra cui quello contenuto in due boccette che furono trovate di fianco al cadavere del ragazzo e che l’amica, per sua stessa ammissione, gli aveva ceduto. Nella sua requisitoria il Pm ha calcato l’accento sulla condizione di segretezza e privilegio con cui Beatrice Marani sarebbe stata seguita dalla dottoressa in condizioni di "super anonimato", con solo una sigla indicata in cartella clinica, tenendo persino all’oscuro i dirigenti del Sert, rendendola beneficiaria di una corsia preferenziale segnata da controlli vaghi e derivata dall’essere figlia di operatori sanitari e dall’intermediazione della zia Cosetta ex dirigente infermieristica, che spesso passava a ritirare il metadone per lei "e sapeva tutto". "Solo dopo la morte di Ballardini la dottoressa Venturini era diventata più scrupolosa".

Il Pm, a supporto delle sue tesi, ha citato le testimonianze dell’ex responsabile Sert, Giovanni Greco, che apprende della Marani come paziente solo dopo l’indagine sulla morte di ’Balla’, e della dirigente Deanna Olivoni, secondo cui l’anonimato "è solo verso l’esterno, mai verso l’interno", inoltre "mancavano gli esami tossicologici settimanali per monitorarne il trattamento".

A prevalere è stata, tuttavia, la linea delle difese: avvocati Alessandra Marinelli e Sandra Vannucci per il medico, avvocato Fabrizio Capucci per le due Marani. Per l’avvocato Marinelli "la paziente Marani era stata registrata dalla dottoressa Venturini "secondo la prassi del Sert", le dichiarazioni della dirigente Olivoni "sono state smentite dai testimoni" e "la Marani non ha beneficiato di alcun super anonimato: per trovare la sua cartella bastava inserire data e luogo di nascita, non era secretata. Ciò confermato da tutti tranne che dal dottor Greco, e il Pm gli è andato dietro. Il trattamento di anonimato è riservato a tutti i pazienti del Sert, che serve a non farli sentire giudicati e stigmatizzati".

Quello della Venturini fu, insomma, "un comportamento umano e scrupoloso, per aiutare una ragazza che altrimenti non si sarebbe fatta aiutare. I medici del Sert sono in trincea, e non sempre rispettano alla lettera i dettami burocratici". Riguardo alle presunte prescrizioni false, "il sistema di erogazione del metadone è automatizzato e non lo permetterebbe". La difesa rigetta anche la tesi accusatoria del mancato rispetto della terapia da parte della Marani, che avrebbe utilizzato il metadone per spacciarlo: "La stava assumendo con successo. La tossicodipendenza è una malattia dell’anima, non si pretende l’astinenza immediata, non è come curare un raffreddore".

Per l’accusa la giovane non fu accolta, come da protocollo, da una apposita equipe medica: "È riservata solo ai casi più eclatanti, quello di Beatrice non era fra questi", ha spiegato l’avvocato Vannucci, secondo cui "non vedere la paziente tutte le settimane non significa non seguirla: in cartella la dottoressa Venturini annotò persino che era tornata ad andare a cavallo e certo non se lo era inventato".

La tesi della corsia privilegiata è contrastata anche dall’avvocato Capucci: "Nessuno del Sert conosceva la famiglia Marani e la zia infermiera". La prova che il piano terapeutico fosse corretto sta nel fatto che "fu lo stesso poi adottato dai medici della struttura in cui Beatrice fu in seguito ricoverata. Solo per il Pm il metadone non andava prescritto".