REDAZIONE RAVENNA

Morte della paziente a Ravenna: archiviazione per 40 sanitari indagati

La paziente deceduta per polmonite e shock terminale, non per malattia di Creutzfeldt-Jakob. Richiesta di archiviazione per i sanitari.

Il caso di morte per sospetta mucca pazza è arrivato in tribunale, ma ora il Pm Monica Gargiulo chiede di archiviare

Il caso di morte per sospetta mucca pazza è arrivato in tribunale, ma ora il Pm Monica Gargiulo chiede di archiviare

Era morta a 59 anni nel maggio 2019 dopo un mese trascorso in ospedale a Ravenna. Il decesso della paziente, oltre al dolore dei suoi cari, aveva alimentato un dubbio: che ad agire fosse stata la malattia di Creutzfeldt-Jakob, ai più conosciuta come ’morbo della mucca pazza’.

La consulenza medico-legale disposta dal pm Monica Gargiulo, aveva però puntato il faro verso altra direzione: la donna - vi si legge - era morta a causa di polmonite e "di shock terminale in paziente gravemente immunodepressa" e allo stesso tempo affetta da una grave complicanza neurologica in nessun modo prevenibile. In quanto al ricovero, non erano emerse "carenze clinico-assistenziali".

Uguale a richiesta di archiviazione per 40 sanitari indagati per omicidio colposo (sono difesi dagli avvocati Giovanni Scudellari ed Ermanno Cicognani). La vicenda ieri mattina davanti al gip Andrea Galanti è ripartita proprio da qui. O meglio dalla opposizione all’archiviazione presentata dall’avvocato Francesco Furnari per conto della figlia della defunta.

Secondo quanto dato atto dai due consulenti della procura - il medico legale Irene Facchini e l’anatomopatologo Carmine Gallo - l’autopsia era stata eseguita il 20 maggio al Bellaria di Bologna. Una morte indubbiamente inattesa; la figlia, nella sua querela orale, aveva spiegato che la madre era rientrata al lavoro dopo essere stata curata da un linfoma con un trapianto di midollo. E che non appariva molto in forma per via di uno stato febbrile.

Il 6 aprile era giunta in pronto soccorso; poi, dopo visite ed esami, era stata trasferita in Medicina per sospetta polmonite; e poi ancora negli Infettivi. E quindi, dopo una settimana, in Neurologia. A quel punto un medico aveva riferito che erano orientati verso il ’morbo della mucca pazza’. Nel frattempo era stato coinvolto anche l’Irst di Medola, dove la 59enne era stata curata nel 2017.

La tac di fine aprile aveva escluso recidive del tumore ma le condizioni della donna si erano via via aggravate e nemmeno antibiotico e cortisone avevano sortito effetto. Il giorno prima del decesso, era stata spostata in area Stroke per il monitoraggio continuo. All’indomani mattina la brutta notizia.

Per i consulenti, la encefalite Cns-Iris che aveva afflitto la donna e la polmonite erano "certamente già presenti al momento del ricovero". In quanto all’operato dei sanitari, era stato caratterizzato da una "puntuale diagnosi differenziale sulle possibili cause" e da "una terapia farmacologica idonea".

Secondo il legale della figlia invece l’inquadramento diagnostico non era stato così lineare nonostante il mese di ricovero: tanto che dopo la morte, era stata diagnosticata una malattia da prioni poi esclusa dall’autopsia. Come dire che la donna era deceduta a causa del ritardo diagnostico, definito clamoroso, dei sanitari che si erano occupati di lei. La richiesta al gip è perciò stata quella di disporre la prosecuzione delle indagini. Prossima udienza a fine gennaio.